Un'immagine del film Tre manifesti a Ebbing, Missouri

E se il cielo diventasse un banner pubblicitario?

Davide Bartoccini

Vladilen Sitnikov, insieme alla StartRocket, ha lanciato il progetto Orbital Display: una rete di satelliti cubici collegati tra loro che compongano nello spazio un “cartellone” di 50 chilometri quadrati

Immaginate d’essere nel clou di una serata romantica in riva al mare. Siete con la vostra infatuazione passeggera, naso all’insù per cercare stelle cadenti e aspettare il momento romantico per, quando sul più bello compare un’enorme scritta pubblicitaria che fluttua nell’esosfera. Un enorme banner “Coca-Cola” o “Nike”, che ingombra il panorama e rovina il classico momento profondità: “Chissà se siamo soli nell’universo?”. Nessuno conosce la risposta. In compenso, ciò che possiamo dire con certezza, è che qualche creativo del marketing ha davvero puntato alle stelle. E che la logica del profitto ha vinto ancora una volta.

 

L’idea è questa: un pubblicitario russo particolarmente visionario, forse uno Yuri Gagarin mancato, ha pensato di spedire in orbita una rete di satelliti cubici (cubesat prodotti da un’università di Mosca) collegati tra loro che dispieghino delle enormi vele quadrate (probabilmente solari) per comporre un banner pubblicitario spaziale di 50 chilometri quadrati, che a 500 chilometri di altitudine garantisca una copertura “potenziale” per un pubblico di 7 miliardi di persone. In breve, tutto il pianeta. Lui si chiama Vladilen Sitnikov, il progetto Orbital Display, ed è stato lanciato dalla StartRocket, una startup a dir poco ambiziosa che punta a spedire il primo cartellone spaziale tra la metasfera e l’esosfera terrestre entro il 2021.

 

Che l’idea sia deprecabile o geniale è del tutto arbitrario. Che sia fattibile è tutto da vedere. Ciò che è certo a oggi è che Vladilen è un folle già finanziato per 90 milioni di dollari, che può contare su tecnologie già esistenti, adeguate alle sue necessità. Un futuro Elon Musk russo che si arricchirà a dismisura attraendo a sé magnati del commercio? Chi può dirlo. Se il progetto andrà davvero in porto però, i suoi cartelloni pubblicitari orbitanti monopolizzeranno l’attenzione di milioni e milioni di persone, che alzeranno occhi e smartphone al cielo raggiungendo il risultato più totalizzante mai raggiunto da qualsiasi campagna pubblicitaria della terra. E il merito, oltre che il profitto, sarà tutto del cosmo-pubblicitario russo.

 

Secondo il suo fondatore, il programma non dovrebbe limitarsi al mero scopo commerciale, ma anche a brevi comunicazioni di rilevanza globale di carattere governativo, o all’uso privato: magari una sobria dichiarazione d’amore di qualche oligarca per la sua bella. Insomma, dimenticatevi i vecchi dirigibili della Goodyear, i tristi cartelloni sulle strade provinciali con le modelle sbiadite, e gli aeroplani che sorvolano le spiagge di Riccione con le loro scie svolazzanti, a rubare l’attenzione a pance, tette e ghiaccioli, per dirci di sintonizzarci su una stazione radio o invitarci al circo. Qui irrompiamo nel visionario kubrickiano con una deriva stile Idiocracy. Qualcosa che nel dibattito etico ci indica la strada del non ritorno per la distopia di un futuro forzatamente brandizzato che ci costringerà a vedere beni di consumo “ovunque”, senza tenere conto dell’inquinamento luminoso, tra le altre.

 

Sul sito il progetto viene descritto come un sogno dal suo inventore è introdotto da una citazione di Warhol: “La cosa più bella di Tokyo è McDonald's. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald's. La cosa più bella di Firenze è McDonald's. Pechino e Mosca non hanno ancora niente di bello”. Ecco, chi come molti di noi oramai già detesta bighellonare nelle vie del centro delle capitali, che tra Starbucks, monomarca di lusso e McDonald’s ci appaiono tutte uguali, non potrà che sperare in uno sciame meteorico che centri in pieno l’ennesimo scempio del marketing scellerato. Almeno per lasciarci liberi di romanticheggiare senza interruzioni pubblicitarie nelle notti d’estate.

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