Bruxelles, Margrethe Vestager alla commissione europea (foto LaPresse)

La giga multa dell'Ue contro Google nasce da un'inchiesta partita male

Eugenio Cau

La Commissione vuole eliminare gli ostacoli alla concorrenza online, ma non agisce in maniera organica e sbaglia obiettivo

Roma. La Commissione europea ha multato Google per 4,34 miliardi di euro, circa 5,1 miliardi di dollari, con l’accusa di abuso di posizione dominante nel campo dei sistemi operativi per smartphone. “Google ha usato Android come veicolo per rafforzare il dominio del suo motore di ricerca”, ha scritto Margrethe Vestager, la commissaria europea all’Antitrust, in un comunicato. “Ha negato ai consumatori europei il beneficio della vera competizione nella importante sfera del mobile. Questo è illegale in base alle leggi europee sull’Antitrust”.

 

La Commissione accusa Google di usare la posizione dominante di Android sul mercato (circa l’80 per cento degli smartphone attualmente in circolazione ha installato il sistema operativo Android; il restante 20 è occupato da iOS di Apple e poco altro) per costringere i costruttori di smartphone a favorire i prodotti di Google a discapito della concorrenza. L’azienda di Mountain View concede gratuitamente Android ai costruttori di smartphone, ma, dice la Commissione, lo fa ad alcune condizioni. Google usa diversi metodi per vincolare i costruttori come Samsung e Huawei a preinstallare i servizi e le app di Google sul telefonino. Su moltissimi smartphone le app come Chrome e Gmail arrivano già installate, di modo che l’utente che vuole navigare su internet userà Chrome e non si preoccuperà, per esempio, di scaricare Firefox. L’Antitrust europea dice inoltre che Google offre incentivi finanziari a chi dà la priorità ai suoi servizi. Infine, stipula con alcuni costruttori dei contratti di esclusività che vietano di vendere smartphone con versioni modificate di Android che non includano le app di Google.

  

Google, dice la Commissione, offre ai costruttori di smartphone un prodotto che è gratuito e open source soltanto all’apparenza, ma in realtà è un cavallo di troia per preservare il dominio dell’azienda. I costruttori, che producono smartphone con margini di guadagno ridottissimi, sono costretti a sottostare ai dettami di Google a causa della sua superiorità tecnica (nessun altro è capace di sviluppare un sistema operativo efficiente come Android) e degli incentivi economici.

 

Google si è difeso con un comunicato del ceo Sundar Pichai, che dice che Android ha creato più opportunità che mai per i costruttori e per gli utenti: da quando c’è Android, scrive Pichai, il numero degli smartphone in circolazione nel mondo si è moltiplicato, e al tempo stesso i prezzi si sono abbassati. Ci sono delle app di Google preinstallate, ma è facile eliminarle. Scrive inoltre, contestando l’indagine della Commissione, che “i produttori di telefoni non sono obbligati a includere i nostri servizi e inoltre sono anche liberi di preinstallare altre app concorrenti, insieme alle nostre”. La Commissione Ue ha dato a Google 90 giorni per porre fine alle pratiche ritenute illecite e non incappare in multe ancora più grandi. Google ha già detto che ricorrerà in appello.

  

Messa così, la multa comminata dalla commissaria Vestager sembra simile a quella imposta dal suo predecessore Mario Monti contro Microsoft nel 2004. Anche allora c’era un sistema operativo dominante (Windows) e tutta una serie di servizi e programmi, come Internet Explorer, che venivano imposti d’imperio a tutti gli utilizzatori del sistema. In realtà è tutto cambiato: tempi, circostanze, mercato.

  

Le ragioni teoriche della Commissione, oggi come nel 2004, possono essere considerate giuste in linea di principio: Google vorrebbe creare un sistema chiuso che utilizza per mantenere un semi monopolio sui servizi online come la ricerca e l’email. Questi sistemi chiusi, o “walled garden”, giardini recintati, sono il miraggio di tutte le grandi compagnie tecnologiche: creare un sistema chiuso e autosufficiente da cui l’utente non ha bisogno di uscire e in cui la concorrenza esiste solo virtualmente, ma in realtà è negata. Hardware proprietario, un app store dedicato, app pensate ad hoc, sistemi di pagamento, servizi cloud, streaming: tutte le compagnie online vogliono ottenere il monopolio della vita digitale dell’utente e trattenerlo in una bolla di servizi efficienti e a senso unico.

 

I “walled garden” hanno alcune ragioni d’esistere: la tecnologia a disposizione degli utenti è molto più complessa di quanto non fosse nel 2004, quando tutti avevano un computer sulla scrivania e un Nokia 3310, e per l’utente la semplificazione di un semi monopolio può essere utile. Immaginate per esempio come sarebbe un mondo senza Android: i telefoni Samsung avrebbero il loro sistema operativo scarsamente compatibile con quello dei telefoni Huawei, a loro volta diverso da quello dei telefoni LG, e così via. Gli sviluppatori dovrebbero creare molte versioni diverse per la stessa app, e passare da una marca all’altra sarebbe ancora più difficile di quanto non lo è oggi. C’è inoltre il problema della sicurezza: molti esperti dicono che Google dovrebbe avere più controllo su Android, non meno, così da garantire gli aggiornamenti contro i virus e le vulnerabilità.

 

Se, tuttavia, la Commissione europea ritiene che i “walled garden” siano una minaccia per la competizione è su di essi che dovrebbe agire in maniera organica, non sulle presunte pratiche negative delle singole aziende. La commissaria Vestager giudica che Google si comporti illegalmente perché riduce l’accesso della concorrenza al suo sistema, ma allora perché non occuparsi anche di Apple, che mantiene un controllo molto più ferreo sui suoi servizi? Google ha fatto la stessa rimostranza, e la Commissione ha risposto dicendo che si è occupata di Mountain View a causa del suo predominio sul mercato. Ecco, non è così che funziona, e ciò dimostra che l’attività di antitrust dell’Unione europea è miope nei suoi tentativi, per quanto corretti in linea di principio.

 

Internet ha un serio problema di chiusura: le grandi aziende stanno creando dei giardini protetti da cui gli utenti faticano sempre di più a uscire: se hai iPhone è difficile passare a Samsung, se hai Windows è difficile passare a Mac. Questo è un gran danno per la concorrenza. Ma i tempi sono cambiati rispetto al 2004. Non è con una maximulta in stile Mario Monti che si risolve il problema.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.