Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Jannik Sinner, in breve: lavoro, misura e famiglia

Alessandro Bonan

Vorrei scrivere del campione senza scrivere del campione. Per questo non parlerò di lui, ma di quello che rappresenta. Tre punti

Vorrei scrivere di Jannik Sinner senza scrivere di Jannik Sinner (anche perché ormai lo fanno tutti). Quindi non parlerò di lui, ma di ciò che lui rappresenta.
 

LAVORO. Ogni mattina il lavoratore si sveglia e comincia a faticare, chi più chi meno. È un’impostazione borghese: ci si sente in dovere di lavorare. Un aristocratico non ce l’ha, non pensa al lavoro. Un aristocratico (in cattività se ne trovano ancora) si concentra su come occupare l’ozio, punto. Sinner (nella foto Ansa) stando fermo si annoia e parla di lavoro come di un mezzo: lavorare per sentirsi bene fisicamente, moralmente e meritarsi un gelato, un giro in macchina, andando più veloce nel caso si sia allenato parecchio. La sua filosofia del lavoro assomiglia a una vocazione, e infatti è stato lui stesso a parlare di “predestinazione al lavoro”. Per questo motivo, lo riterrei quasi (ho detto quasi) un asceta, un calvinista con la racchetta in mano, impegnato non tanto ad accumulare soldi ma piuttosto a consumare una fatica, come se questa fatica fosse per lui una specie di preghiera.
 

MISURA. Ho come l’impressione che il tennis sia diventato soprattutto una questione di misure, di piccole misure, centimetri, a volte anche millimetri. Un giocatore che colpisce al centro del piatto corde sviluppa una potenza superiore. Spostando la racchetta di pochi millimetri, cambia il colpo. Il grande giocatore indirizza volutamente la palla sulle righe, e la tecnologia, con quello che viene chiamato Occhio di Falco, ci fa vedere quanto esiguo sia lo spazio che intercorre tra un colpo fuori dal campo e uno dentro. Anche la vita è una questione di misure. Se hai quelle giuste, se le ricerchi con pazienza e lucidità, ti metti nelle condizioni di vincere un’esistenza fortunata, altrimenti sono guai (esempio, se sposi una donna o un uomo senza misura, il tuo matrimonio diventerà un inferno). Sinner è un maniaco delle misure, colpisce rispettando le misure, esulta con misura, sorride con misura, parla con misura.
 

FAMIGLIA. Nessuno ha mai sentito la voce dei genitori di Sinner. Papà Hanspeter compare ogni tanto sugli spalti. Guarda il figlio giocare per diventare eterno, ma sul suo volto non traspare un’eccessiva tensione. La mamma di Jannik sta sempre lontana e non si vede mai. Di lei risuona il tintinnio del nome, l’onomatopeico Siglinde. Quando Jannik parla di loro, cala una specie di paradisiaco silenzio. È come se la pace ricevuta dai genitori, gli avesse insegnato il valore di una pausa, magari accompagnata da uno sguardo sincero. Vengono in mente certe scene sui campi di calcio giovanili, dove il babbo insulta e la mamma incalza. Nessuna pausa, nessun silenzio, solo gratuita e becera violenza.
 

Ecco che cos’è il giovane Jannik, un ragazzo che ci allontana dal ghiaccio del quotidiano inverno (Cocciante, lo cantò) e ci scalda con la sua idea romantica del LAVORO, della MISURA, della FAMIGLIA.

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