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Serie A

Ferguson è l'uomo giusto per il calcio fluido di Thiago Motta

Marco Gaetani

Il Bologna funziona anche grazie al modo in cui lo scozzese è diventato un tutt'uno con Freuler e Zirkzee

C’era una volta la “spina dorsale” di una squadra, un blocco centrale immaginato tirando una linea dal portiere fino al centravanti. Ne facevano parte i centrali difensivi, i mediani, i trequartisti (nei casi più arditi) e il numero nove. Un concetto che con il tempo è andato via via sparendo, complici rose ipertrofiche pensate per il turnover e per uscire dalla concezione, all’epoca fondante, della formazione tipo. Ma in alcuni contesti privilegiati, quelli privi dell’angoscia del doppio (o triplo) impegno, ne resta ancora un retaggio. Guardate il Bologna, per esempio, creatura che Thiago Motta ha plasmato pezzo dopo pezzo fin dall’arrivo in corsa del settembre 2022. Qualcosa può cambiare tra porta e difesa centrale, ma dal centrocampo all’attacco si respira questo sapore antico e allo stesso tempo estremamente moderno: Remo Freuler, Lewis Ferguson, Joshua Zirkzee, sempre presenti a meno di cataclismi, irrinunciabili, decisivi.

Con un centravanti che svuota l’area, che manipola le uscite dei centrali difensivi per far sì che ci sia qualcun altro a occupare quello spazio rimasto libero, Motta ha bisogno di giocatori pronti a leggere le situazioni e a cambiarsi costantemente d’abito. Nelle ultime settimane, per superare quello stallo inatteso che si era creato a cavallo del nuovo anno, ha saputo modificare una struttura di partenza che fino a quel momento aveva funzionato a meraviglia. Ma non è il posizionamento di un centrocampista a poter incidere sui principi del Bologna: che sia 4-2-3-1 o 4-3-3, poco cambia. Il Bologna funziona anche grazie al modo in cui Freuler, Ferguson e Zirkzee, “mezza spina dorsale”, interpretano le partite.

Lo svizzero è diventato il vertice basso del triangolo di centrocampo, ma non disdegna la prospettiva di seguire l’azione fino a presentarsi nell’area avversaria, come è accaduto col Verona; lo scozzese, in quest’anno e mezzo di Motta al Bologna, ha fatto praticamente tutto, il trequartista e l’esterno, la mezz’ala e il centravanti, cambiando pelle all’interno dei 90 minuti in base alle esigenze tattiche del momento e alle indicazioni dell’allenatore; l’olandese, infine, l’uomo copertina, elemento sempre meno leggibile dalle difese avversarie, perché è vero che per natura tende a cucire il gioco e a calpestare zone di campo in cui raramente i centravanti si fanno vedere, ma sempre più spesso si fa trovare dove il mestiere lo richiede, mostrando doti da stoccatore che in pochi gli riconoscevano qualche mese fa.

Intelligenza e intuito sono le caratteristiche che contraddistinguono questa modalità da tre corpi e un’anima e non è un caso se a portare la fascia da capitano di un Bologna che non vuole smettere di sognare è Ferguson, l’uomo che più di tutti riesce a interpretare la fluidità della formazione di Motta, astuto e reattivo come dimostra il gol con cui ha piegato l’Atalanta, impresa che gli era già riuscita nella partita d’andata: “Ho visto la palla arrivare e ho tirato bene, avevo in testa solo quello”, ha detto a caldo, rivelando quanto sia importante l’istinto nei momenti decisivi delle partite. Con l’ingresso in pianta stabile di Fabbian nell’undici titolare, Ferguson deve rinunciare in parte ai compiti offensivi che predilige, lasciando spazio all’istinto del compagno di reparto che pare avere una capacità innata di farsi trovare nelle zone dove cadono palloni pronti a essere trasformati in gol. Lo scozzese non ha fatto una piega, si è messo come sempre al servizio dei compagni ma ha comunque trovato il modo di incidere, come era successo, per esempio, nel ribaltone imposto al Sassuolo a inizio febbraio. Thiago Motta ha puntato su di lui fin dal momento del suo arrivo a Bologna, mettendogli attorno i tasselli giusti, convinto che fosse Ferguson l’uomo giusto dal quale partire per costruire una spina dorsale fluida ma fondamentale.

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