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Tonici e cordiali: un altro Giro di storie

Il Giro d'Italia tra Napoleone, il chinotto e Luciano l'Eroico

Gino Cervi

Il nostro giroditalico e spiritoso randagismo all’inseguimento di amari, cordiali, distillati, vini aromatizzati e infusi a varia gradazione alcolica continua nell'entroterra ligure prima di pedalare negli sterri di tutto il mondo in sella con Berruti

La tappa di oggi, la 4a del Giro d'Italia, parte da Acqui Terme, in provincia di Alessandria, nell’Alto Monferrato – che per capovolgenti questioni altimetriche è il Monferrato meridionale – e arriva ad Andora, provincia di Savona, Ponente ligure.

Il percorso risale la Bormida, fiume dalle tre sorgenti e dai quattro nomi: c’è infatti la Bormida di Spigno, il ramo orientale, formata dalla confluenza della Bormida di Pallare e quella di Mallare; e c’è la Bormida di Millesimo, il ramo occidentale, quello più ricco d’acqua, dal quale i geografi prendono le misure del fiume: 180 km, dalle sorgenti del colle Scravaion, sullo spartiacque ligure-piemontese, fino allo sbocco nel Tanaro, poco a est di Alessandria.

Bormida è un idronimo di probabile origine pre-romana, addirittura c’è chi sostiene abbia una radice linguistica pre-indoeuropea, *borm-, che stava a indicare luoghi in cui dalla terra, come un sommesso borborigmo, gorgoglia un’acqua ad alta temperatura: il che spiega anche l’etimologia di una famosa località termale alpina come Bormio, oltre al fatto che la monumentale fonte salso-bromo-iodica che sta al centro di Acqui Terme si chiami La Bollente.

Insomma, anche oggi per questo nostro giroditalico e spiritoso randagismo all’inseguimento di amari, cordiali, distillati, vini aromatizzati e infusi a varia gradazione alcolica, partire da Acqui e dalla Bollente ci pare un buon auspicio. Se ieri ci accompagnava, grazie alla benemerita invenzione di Gaspare Campari, la carminia presenza di Giuseppe Garibaldi, oggi la corsa ci porta in luoghi napoleonici.

Nella primavera del 1796, il giovane Bonaparte, a capo dell’Armata della Francia rivoluzionaria e repubblicana, fu l’eroe delle prime battaglie della campagna d’Italia contro l’esercito sardo-piemontese, alleato agli imperiali austriaci. Cairo Montenotte, Millesimo, Carcare, Cosseria… Dall’11 al 21 aprile Napoleone e i suoi generali Sérurier, Augereau, Massena, attaccando i passi appenninici dalla Riviera ligure – il Cadibona, il Tovo San Giacomo, la Bocchetta e il Turchino – sbaragliarono la resistenza nemica e avanzarono verso Torino. Furono fermati solo dall’armistizio chiesto da Vittorio Amedeo III e siglato a Cherasco. E allora puntarono su Milano. Nel gruppo compatto dell’Armata francese correva all’epoca anche una giovane promessa del romanzo: Henry Beyle, più famoso come Stendahl.

A vedere gli esiti militari di quegli eventi, in pochi forse avrebbero scommesso che sarebbero stati i piemontesi a tenere le redini politiche dell’Italia. E invece, circa ottant’anni dopo, i cugini d’oltralpe si dovettero accontentare di “conquistare” in un altro modo l’Italia e, in particolare, il Ponente ligure.

Intorno al 1887, arrivò un imprenditore francese, Sylvestre-Allenamd, che decise di impiantare a Savona un laboratorio di canditura del chinotto. La pianta di Citrus mirtyfolia, un agrume simile all’arancia amara, ma dai frutti più piccoli e compatti e con la buccia più spessa e ricca di aromi, era arrivato in Liguria fin dal Cinquecento, si dice grazie a un navigatore savonese che l’aveva imbarcata dalla lontana Cina, da cui il nome di chinotto. La pianta si era felicemente acclimatata sui ripidi pendii della Riviera di ponente, tra Varazze e Finale Ligure: verso la fine dell’Ottocento si racconta che, solo nei giardini e negli orti di Savona e dintorni, erano stare messe a dimora circa 60.000 piante di chinotto. In origine il frutto veniva utilizzato soprattutto nelle lavorazioni medicinali. Proprio con l’arrivo della ditta Silvestre-Allemand si diede avvio alla trasformazione del piccolo agrume in un prodotto di pasticceria e liquoreria, proprio tramite un lento e laborioso processo di canditura, che, in origine, prevedeva un passaggio in salamoia di acqua di mare. Trattato in questo modo, il chinotto entrò nelle consuetudini dei caffè rivieraschi della Belle Epoque di venire servito come aperitivo o digestivo abbinato in un cocktail a base di maraschino.

Fu però fatale alle sorti del chinotto savonese l’eccezionale gelata che, alla fine degli anni Venti, distrusse gran parte delle piantagioni. Da lì in poi, la produzione andò a diminuire e le coltivazioni furono progressivamente abbandonate, anche a causa della poca convenienza del lungo processo di trasformazione del prodotto.

Il chinotto, tuttavia, trovò nuova vita nella produzione della bevanda analcolica che, per alcuni decenni fu l’alternativa “autarchica” alla Coca-Cola, ma in una dimensione industriale e poco “naturale”. Solo più recentemente, grazie all’istituzione a partire dal 2004 del Presidio Slow Food del Chinotto di Savona, la produzione del piccolo agrume amaro e la lavorazione semi-artigianale nella bibita analcolica è tornata a essere un vanto del territorio.

La corsa di oggi, dopo aver valicato il Colle del Melogno, planerà sulla Riviera per ricalcare negli ultimi chilometri in vista del traguardo di Andora il tracciato della Milano-Sanremo. Per me oggi potrebbe anche vincere il più formidabile campione di fantasia epico-ciclistica, mezzo Merckx mezzo Napoleone, ma il mio eroe di giornata non potrà che essere Luciano Berruti.

I corridori, proprio nell’ascesa del Melogno, lambiranno il punto in cui, un triste giorno di metà agosto di sette anni fa, Luciano se ne partì per l’ultima fuga. Se ne partì di botto, proprio come faceva quando ti lasciava lì mentre stava parlando con quel suo accento ligure di entroterra, mangiando aria e parole, e senza preavviso scappava via sullo sterro di qualche Eroica in giro per il mondo – Gaiole o Sudafrica, California o Limburgo non importa: lui parlava la lingua universale della sua Peugeot 1907 – e a te non restava che vederlo scomparire lontano dietro una curva, sulla strada bianca.

E allora, oggi e sempre, ti sia lieve la polvere, carissimo, indimenticato Luciano!

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