Foto tratta dal profilo Facebook Luciano Berruti - Museo della bicicletta di Cosseria

L'ultima pedalata di Luciano Berruti

Giovanni Battistuzzi

E' morto ieri pedalando verso il Colle Melogno, entroterra ligure, il fondatore del Museo della bicicletta di Cosseria. E tutti gli appassionati della bici e del ciclismo hanno un motivo per rendergli omaggio

C'erano un uomo e la sua bicicletta. E poi altre biciclette, tante, a riempire metri e metri quadri, a riempire oltre un secolo e di più. Dai pionieri che era inizio secolo, Novecento, ai giorni d'oggi che era ieri, tredici agosto, che era diciassette, 2017. C'erano un uomo e una salita, l'ultima, verso il Colle Melogno, a salir da Bormida, entroterra ligure, le sue terre, quelle amate, quelle che lasciano la riviera, luogo di molti, di turisti soprattutto, almeno in questa stagione, per entrare in quel tripudio di cime e di creste che sono Alpi marittime, che sono luoghi di pochi e per pochi, di ciclismo e passeggiate, di posti lontani. C'erano un uomo e una bicicletta, tutti e due a terra, ma vicini, un saluto, l'ultimo, suo e di tutti quelli che quell'uomo lo hanno conosciuto, perché bastava intravedere quegli occhi e quei baffi una volta per non scordarli più. Quell'uomo era Luciano Berruti, che tra tante cose creò il Museo della Bicicletta di Cosseria, e se ne è andato come aveva vissuto, pedalando. 

  

"A un certo punto nella vita ho iniziato a desiderare di andarmene assieme alla cosa a cui ho avuto più bene, la mia bicicletta", Luigi Ganna, era il 1948 e davanti aveva Armando Cougnet. Non ci riuscì. "In Paradiso, per chi ci crede, è meglio arrivarci pedalando", Eberaldo Pavesi, era il 1963 e davanti aveva Gianni Brera. Ce la fece, forse, a suo modo. "Tocca andarsene, non sarebbe male farlo sull'unica donna con la quale ho tradito mia moglie, la bicicletta", Roger Walkowiak, era il 2005 e davanti aveva Hein Verbrugghe, allora presidente dell'Union cycliste internationale e sulla bicicletta ormai non ci usciva quasi più. Dicono tante cose e tante ne hanno dette, ma un addio rimane tale e Luciano Berruti l'ha dato ieri, indipendentemente se Ganna, Pavesi o Walkowiak avessero ragione o torto.

 

A chi è rimasto resta il ricordo di una passione incredibile per la bicicletta. Perché questo e altre mille cose era Luciano Berruti. L'uomo che Eroica dopo Eroica pedalò un secolo di biciclette; l'uomo che "nel deposito di Camillo, lo zingaro del paese che raccoglieva rottami" trovò un rudere di ferro e lo riportò alle origini, al 1909, all'epoca di Lucien Petit-Breton, "l’ho aggiustata e mi sono iscritto a una cronoscalata. Gli organizzatori pensavano che volessi prendere in giro gli altri concorrenti. In realtà volevo solo dimostrare che sono gli uomini a fare la differenza, non le biciclette e, oggi, tanto meno il doping", raccontò al Secolo XIX; l'uomo che in un cascinale a Cosseria, tra Savona e il Piemonte, racchiuse oltre un secolo di bicicletta, dalla cyclette della principessa Sissi alla futuristica Moser dell'Ora, tra maglie in lana e selle in cuoio, tra raggi in legno e pantaloni alla zuava diventati marchio di fabbrica.

 

A chi è rimasto resta il ricordo di una passione. E una musica che da Genova sale e che si muove e si modifica con l'allontanarsi dal mare "ho visto Luciano volare / tra le corde dell'altalena / un giorno lo prenderò / come fa il vento alla schiena / luce luce lontana / che si accende e si spegne / quale sarà la mano / che illumina le stelle".