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Basta pietismo

Il modo migliore per rispettare il calcio femminile è riconoscere che ha fatto flop

Francesco Gottardi

Dietro la figuraccia mondiale delle Azzurre c’è un movimento che non ingrana. Dietro i piagnistei della Fifa, che se la prende con la tirchieria dei broadcaster, c’è un macroscopico errore di valutazione: che sviluppo può esserci senza sostenibilità finanziaria?

Fine dell’agonia. La Nazionale di calcio femminile va a casa ai gironi, saluta il Mondiale australe con le ossa rotte e ogni entusiastico residuo della precedente edizione – quarti di finale, boom mediatico – viene spazzato via. Non c’era ragione perché andasse diversamente, gioco e risultati alla mano. Eppure sta andando in scena un pietismo narrativo surreale. Per la Gazzetta il Brasile eliminato dalla Giamaica è qualcosa di “clamoroso” – lo è; nell’analogo caso dell’Italia, beffata dal Sudafrica 3-2, semplicemente “Caruso non basta”. Come dire: che sfiga, per poco. E perfino i social, fucina dell’indignazione di massa, si riscoprono colombe – tolte le critiche alla ct Bertolini, che nello sport un capro espiatorio fa sempre comodo. “Almeno ai Mondiali ci sono arrivate, loro”, è il tenore medio dei commenti. Oppure: “Dai, su, poverette”. Ma poverette de che? È stata una figuraccia, punto. Se l’obiettivo è la parità di genere, si abbia la franchezza di riconoscerlo sempre. Che anche le ragazze hanno diritto ai fischi dei tifosi e al loro “Tutto nero” – sempre Gazzetta, post Sudafrica 2010.

Il problema è che la crescita del movimento, tolti i grandi proclami e l’irrazionale euforia, interessa a pochi. Basti pensare all’elemento simbolico: ad accompagnare la spedizione delle Azzurre in Nuova Zelanda non c’era nessuna alta carica della Figc. Troppe ore di viaggio, forse. “Avrei voluto essere lì”, dice il presidente Gravina – di nuovo, che sfiga. Ma ci sarà un motivo invece, se un mostro sacro come Carolina Morace ha deciso di lavorare in Inghilterra – una delle rare realtà in cui il calcio femminile funziona e ha seguito. “Sono preoccupata per il futuro”, l’ex attaccante ha dichiarato a Fanpage alla vigilia del torneo in corso. “In Italia non vedo grandi sponsor per migliorare e sostenere questa realtà: sarà difficile farcela da sole”. Negli ultimi anni, l’unico gigantesco passo in avanti è stato il riconoscimento formale dello status di professioniste alle giocatrici. Un traguardo minimo di civiltà. Non la panacea che farà decollare il livello tecnico o ingolosire potenziali finanziatori. Anzi: i costi per i club aumentano. Anche per consolidare il nuovo ordinamento, la Serie A è passata da 12 a 10 squadre. Per il resto, la Federcalcio sembra navigare a vista. O ha semplicemente captato i segnali che arrivano dall’esterno.

Gli eventi di punta illudono: il 20 per cento di share registrato per le tre gare della Nazionale è più che dignitoso, anche se ancora lontano dal nord Europa. Ma altro in tv non si vede. Mentre dal vivo, i 40mila spettatori di Roma-Barcellona per i quarti di finale della scorsa Women’s Champions League hanno rotto ogni record. Ma restano una cattedrale nel deserto. Di solito uno stadio italiano non va oltre le 6mila presenze quando va bene – è il dato di un match di cartello come l’ultima finale di Coppa Italia. Per chi investe nel calcio, sono numeri da Serie C. Ed è una questione che va ben oltre il caso italiano. Per i Mondiali 2023, i primi a 32 squadre, la Fifa ha scommesso la faccia e soprattutto 435 milioni di dollari. Immaginatevi allora la faccia di Infantino, quando i cosiddetti ‘big five’ – Regno Unito, Francia, Germania, Spagna e Italia – hanno offerto una cifra cento volte inferiore rispetto a quanto stipulato per i diritti televisivi dei Mondiali maschili. Secondo il Guardian, la Rai ha messo sul piatto 300mila euro: per accaparrarsi l’esclusiva in Qatar ci vollero 160 milioni. “È una vergogna e un insulto alle donne di tutto il mondo”, ha attaccato il numero uno della Fifa. “Noi come istituzione abbiamo il dovere morale e legale di pretendere di più”.

Stessa musica per gli sponsor. L’edizione 2023 è stata anche la prima in cui la Fifa ha deciso di scorporare i pacchetti d’investimento per i Mondiali – fino ad oggi funzionavano ad ambate, maschile più femminile. E appena si è trattato di mettersi al tavolo con i potenziali partner commerciali per le ragazze, la vicenda s’è fatta western: palle di fieno vaganti nel deserto. La Fifa – fonte Sports Business Journal – è riuscita a sottoscrivere una sponsorizzazione dedicata soltanto con Visa e Xero, un’azienda tech neozelandese. Si capisce allora la rabbia di Infantino: puntare sul cavallo sbagliato non piace a nessuno. Ma la sua filippica è delirante. Perfino molte ex calciatrici impegnate nel settore hanno rimproverato lo slancio di fede della Federcalcio internazionale: che sviluppo può esserci senza sostenibilità finanziaria? I prezzi li fa il mercato. E non si può dare la colpa ai consumatori, se anziché appassionarsi al calcio femminile preferiscono fare altro. Questo però non si dice. Meglio battere le mani, edulcorare i toni. O tornando in casa Azzurre, arroccarsi nel brave lo stesso – che tanto noi stiamo bene lo stesso. Il prossimo Mondiale è già nostro. Sicuro come i calcoli di Infantino.

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