L'arrivo di Egan Bernal al Santuario d'Oropa al GranPiemonte del 2019 (foto LaPresse)

Tonici e cordiali: un altro Giro di storie

Il Giro d'Italia tra ratafià, Pietro Micca e i francobolli di Gianni Rodari

Gino Cervi

Il ratafià più famoso d’Italia è quello di Andorno Micca, pochi chilometri a nord di Biella, da dove oggi passerà la seconda tappa del Giro d’Italia, prima di affrontare gli ultimi undici chilometri di salita che porteranno al traguardo del Santuario di Oropa.

I notai, che usavano rigorosamente formulari latini nell’esercizio delle loro funzioni, lo scrivevano in latino:

Et sic res rata fiat.

"E la cosa sia così approvata". In questo modo si componevano discordie, si formalizzavano accordi e stipule, insomma si ratificavano le cose. Il notaio pronunciava la formula finale e gli astanti ripetevano in coro, rata fiat. Tutti erano felici e contenti e, di comune accordo, ci si poteva bere sopra. Si brindava allora con dei bicchierini pieni di un liquore dal sapore intenso di ciliegia, un po’ dolce e un po’ asprigno e di una gradazione alcolica, che a seconda di come lo si produceva, poteva essere blanda (7-10%) o più decisa (20-24%). Secondo questa versione dei fatti, il ratafià sarebbe l’unico liquore al mondo che prende il nome da una formula giuridica.

Il ratafià più famoso d’Italia è quello di Andorno Micca, pochi chilometri a nord di Biella, da dove oggi passerà la seconda tappa del Giro d’Italia, prima di affrontare gli ultimi undici chilometri di salita che porteranno al traguardo del Santuario di Oropa. Ed è rigorosamente prodotto con ciliegie nere di Prunus cerasus, piccole e acidule. Ma il ratafià – a volta pronunciato senza l’accento finale sulla “a”: ratafìa – lo si produce però anche in altri luoghi: in Abruzzo, nel Lazio, in Valle d’Aosta e sull’origine del suo nome esistono anche altre varianti: non dissimile è quella riportata nel trattato Ricordi sulla maniera di manifatturare vini e liquori, pubblicato nel 1868 dal teramano Alessio De Berardinis: "Il nome [...] gli fu dato da quell'uso che anticamente avevano gli ambasciatori delle potenze belligeranti quando trattavano della pace ad una lieta mensa, di bere questo liquore e di pronunciare quelle semplici parole latine "Pax rata fiat!"".

Vent’anni prima, nel 1848, l’astigiano Vittorio Brofferio nell’antologia Tradizioni italiane per la prima volta raccolte in ciascuna provincia dell'Italia e mandate alla luce per cura di rinomati scrittori italiani faceva risalite le origini del ratafià di Andorno a una sorta di favola. L’inventore del liquore era stato accusato di stregoneria da un suo acerrimo rivale. A complicare le cose c’era il fatto che, come in una variante biellese del Romeo e Giulietta scespiriano, la figlia del liquorista era innamorata del figlio dell’accusatore. Dopo un lungo e tormentato processo il liquorista venne riabilitato e i due giovani poterono felicemente convolare a nozze, brindando alle parole del giudice che pronunciava la sentenza di assoluzione: Et si res rata fiat. E da qui il nome.

Curiosamente, invece, nel Canton Ticino chiamano ratafià il nocino, liquore ottenuto dalla macerazione alcolica dei malli delle noci ancora verdi, raccolte a San Giovanni, nella notte tra il 23 e il 24 giugno. E ancora più curiosamente, per riportate la nostra “spiritosa” divagazione sulle strade del ciclismo, pare che l’inventore di questa ricetta, detta ratafia aux broux – che sarebbero appunto i malli delle noci – sarebbe, fin dal Settecento, un tale Mathieu Teisseire, francese di Grenoble. Si chiamava Teissiere, anche se di nome faceva Lucien, il campione transalpino che nella Milano-Sanremo fu l’ultimo a cedere sulle rampe del Turchino alla straordinaria fuga solitaria di Fausto Coppi nella Milano-Sanremo del 1946. Teissiere non partecipò mai al Giro ma vinse quattro tappe al Tour, dove arrivò anche 6° in classifica generale nel 1948.

Oltre che per il ratafià, Andorno Micca ha nel suo stesso toponimo un altro motivo di celebrità. Il 5 marzo 1677 ad Andorno Cacciorna, borgo della bassa valle del torrente Cervo, che un tempo univa gli odierni comuni di Andorno e Sagliano, Pietro Micca, eroe dell’assedio di Torino del 1706. Arruolato nella compagnia minatori dell’esercito sabaudo, racconta una leggenda che nella notte tra il 29 e il 30 agosto del 1706 fermò l’avanzata dei granatieri francesi all’interno di una galleria sotterranea che portava dentro la fortificazione della Cittadella, immolando se stesso e facendosi saltare in aria con una carica esplosiva innescata da sé stesso: una specie di kamikaze subalpino. Su questo gesto di estremo eroismo tramandato per secoli dai manuali scolastici come supremo esempio di patriottismo, gli storici seri avrebbero forse qualcosa da dire. Ma pazienza.

A noi qui, basta ricordare che Pietro Micca fu “intervistato” da Umberto Eco in una delle Interviste impossibili mandate in onda dal secondo canale radiofonico della Rai, intorno alla metà degli anni Settanta; Pietro Micca era intepretato da un indimenticabile Felice Andreasi e la regia del programma era curata nientemeno che da Andrea Camilleri. Detto fra noi, il Micca-Andreasi ce l’aveva ancora col sergente Rebaudengo…

Chissà chi oggi, tra i girini di questa seconda tappa, passando per Andorno Micca, e in vista della rampa finale di Oropa, avrà lo spirito eroico di far esplodere la corsa.

Staremo a vedere. Per il momento noi la pensiamo come Gianni Rodari e come l’ultimo verso di questa sua filastrocca intitolata L’invenzione dei francobolli (Filastrocche in cielo e in terra, 1960).

Non capisco perché
la colla dei francobolli
la fanno sciapa,
sapor di rapa.

Avanti, chi inventa
i francobolli al ribes
e quelli alla menta?

Oh, che passione
i francobolli al limone…

Che delizia, che rarità
i francobolli al ratafià.

Di più su questi argomenti: