(foto EPA)

bandiera bianca

Il problema del calcio femminile? Non è divertente

Antonio Gurrado

Non è una questione di genere: allo spettatore dei mondiali femminili viene richiesto uno sforzo di fantasia e una forzatura d'entusiasmo. Ecco perché mi dimentico di guardare le partite

Ha vinto, evviva!, però stamane mi sono del tutto dimenticato che ci fosse la partita dell’Italdonne ai mondiali, un po’ perché al lunedì mattina lavoro un po’ perché, lo ammetto, l’aggettivo “femminile” di fianco al calcio fa passare l’entusiasmo per i mondiali in secondo piano. È brutto, lo so, quindi ho fatto una serena autocritica e ho capito che mi accade per tre motivi. Il primo è che lo sport non è mai solo presente ma soprattutto passato: quando guardo una partita, non vedo solo l’azione davanti ai miei occhi, di per sé sovente trascurabile, ma mi si squaderna dinanzi più di un secolo di storia del calcio, alla cui luce ogni pedata viene analizzata e comparata, andando a costituire un tassello di un mosaico iniziato dai miei avi che neanche i miei più remoti discendenti riusciranno a completare. Per quanto mi sforzi, del calcio femminile riesco a riesumare vaghi ricordi di Carolina Morace, del Gravina in serie B, non abbastanza per garantirmi la visione tradizionale della continua contemporaneità della storia. Inoltre, secondo motivo, nel calcio femminile vincono più o meno sempre le stesse. Fra i ragazzi è molto raro che una squadra vinca a ogni giornata del campionato o che ai mondiali fiocchino i 5-0.

 

Questa manifesta superiorità è dovuta a un livello tecnico medio ancora approssimativo ed è la prima causa di noia; quando invece si crea un equilibrio (come nella formidabile finalissima dei playoff scudetto di volley femminile), allora sì che ci si morde le dita davanti allo schermo senza pensare al sesso di chi gioca. L’uno e l’altro motivo dimostrano che per il calcio femminile c’è ancora bisogno di tempo: allo spettatore è richiesta pazienza, è richiesto impegno, forse anche un surplus di fantasia e una lieve forzatura dell’entusiasmo, così da favorire l’incremento della partecipazione, l’innalzamento del livello tecnico e la creazione di una storia appassionante a lungo termine, come è già accaduto al volley, all’atletica, alla pallanuoto, alla scherma, al ciclismo… Per ora il calcio femminile chiede allo spettatore più di quanto non dia; si propone come una specie di impegno civico, investimento a lungo termine per un mondo migliore. E questo – io voglio divertirmi adesso – è il terzo motivo per cui mi dimentico sempre di guardare la partita.

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