i confini tra gloria e isterismo

Salvare l'eleganza di Napoli campione dal vento dell'imbecillità

Giuliano Ferrara

Napoli è leggendaria e lo resterà perché sa smentire le contraffazioni in cui è maestra. La sua festa è immensa e sensuale perché non si sa quando è cominciata e non si sa quando finirà. C’è però una linea rossa di sornione e astuto rispetto di sé da non oltrepassare

"La gloria", titolo cubitale del Mattino benemerito, e poi il pellegrinaggio dell’ex presidente Ferlaino sulla tomba di Diego nel giorno del trionfo, e l’infinita emozione del paradiso azzurro dal quale saluta la mano del Diez e mille altri segni di gioia autentica sparsi per ogni dove, superstizione, orgoglio, idolatria, cabbala. Complice il calendario, la festa del Napoli calcio si è iniziata prima del tempo e finisce fuori del tempo e dello spazio, si fa assoluto naturale, amore romantico senza confini, interminabile sfoggio di sentimentalismo vero, fondato su attese lunghe, su aspettative frustrate e poi soddisfatte, su equivoci e evidenze solari, tutto smisurato e potente. 

 
Niente da eccepire. Tranne che per un aspetto. Il Napoli ha vinto uno scudetto, tanti anni dopo, perché ha giocato meglio di tutti, velocità e precisione, e perché è risultato una squadra sovrabbondante in fantasia e simpatia. Kvara con la sua facies georgiana più bella ancor delle sue sterzate, la maschera di Spiderman indossata da Osimhen, l’infaticabilità da giocoliere di Di Lorenzo: ce ne sono di tratti non mistici, non esoterici, piani e semplici, da mettere in palchetto per una grande vittoria sportiva e molto di più. Un saggio perfetto di Massimo Adinolfi e Davide Grossi qui al momento spiegò tutto il retroscena vero di questa fulgida commedia gloriosa che è classifica antropologica e divinizzazione laica di una cifra urbana, storica e poetica. 


Fantasia e simpatia devono riscuotere dunque la loro parte, non possono essere sopraffatte dall’elemento nostalgico e magico, dal non detto del morto che afferra i vivi, dal suono che si fa strepito e annulla la musicalità del fatto, la partitura del successo. Napoli è leggendaria e lo resterà perché sa smentire le contraffazioni in cui è maestra, esige con noncuranza e scetticismo la giusta immensa misura d’amore che il mondo le porta, tutti sanno o intuiscono che i napoletani sono i primi a crederci e a non crederci, è il segreto di Pulcinella, della città virgiliana, leopardiana, è il canovaccio proprio di Fuorigrotta.

  

   

La sua festa è immensa e sensuale perché non si sa quando è cominciata e non si sa quando finirà. C’è però una linea rossa di sornione e astuto rispetto di sé da non oltrepassare. C’è un’eleganza scassata o fané da confermare nel miracolo di ogni giorno.
 

Nei suoi diari intimi Charles Baudelaire, cantore come nessuno della città irreale,  scrisse preveggente parole rimaste celebri: “Ho coltivato il mio isterismo con godimento e con terrore. Ora ho sempre le vertigini, e oggi, 23 gennaio 1862, ho subìto un singolare avvertimento: ho sentito passare su di me il vento dell’ala dell’imbecillità”. Ecco, Napoli ha difetti tutti perdonabili e perdonati, e conosce godimento e terrore, ma non ha una patologica predisposizione all’imbecillità, che in ogni isterismo è in agguato. Ora che ha sempre le vertigini, ora che il fremito di una vittoria alata l’ha attraversata nelle fibre, com’era giusto che fosse, spiegabile, ovvio perfino, deve guardarsi dal vento dell’imbecillità.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.