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Juventus e Barcellona fuori dalla Champions, ossia la sicumera dei vincenti

Giovanni Battistuzzi

Bianconeri e blaugrana vedranno gli ottavi della coppa europea più prestigiosa dal divano. Hanno però ragione Allegri e Xavi a dire che non hanno fallito. I problemi sono iniziati tempo prima, quando hanno creduto che i bei tempi potevano ritornare davvero senza “uccidere” i padri di quelle vittorie

Quando il piano immaginario e il piano reale si scollano a tal punto da sembrare gravitare su due universi separati l’unica cosa da fare è cercare di capire cos’è successo, quali sono state le cause di questo scollamento. Vale per ciò che è importante e anche per il superfluo. Va da sé che è difficile capire dove posizionare il calcio. Serve a nulla chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie e borbottare tra sé per non sentire il rumore di fondo che le dita fanno comunque penetrare nel canale uditivo. Serve nemmeno cercare altrove colpe proprie: le teorie del complotto sono sempre molto affascinanti, quasi mai utili o risolutorie. Il pallone dà, il pallone toglie, a chi di più a chi di meno, che i soldi e blasone portano sempre un po’ di rispetto in più.

 

Il piano reale di Juventus e Barcellona, entrambe fuori dalla fase a eliminazione diretta della Champions League (i bianconeri non sono sicuri nemmeno del salvagente – più economico che altro, almeno in Italia, visto che le altre coppe europee sono prestigiose solo se le si vince – della Europa League), s’è parecchio staccato in questi mesi da quello immaginario, o quantomeno sperato in estate.

 

È stata una bella estate a Torino e Barcellona. I tifosi facevano gran piani collezionando le figurine che le dirigenze concedevano loro, anche grazie a campagne stampa assai troppo interessate al calciomercato, nemmeno si stesse giocando a Football Manager (che si sa che l'aspetto più appagante di FM è la compravendita di calciatori). Più di cento milioni spesi dai bianconeri, più di centocinquanta dai blaugrana, grandi giocatori che arrivavano, gente dai piedi buoni e dalla testa fine, e i galloni delle regine del calciomercato. Doveva essere trionfo, il ritorno per entrambe alla dimensione che meritano, quelle delle vincenti. Paul Pogba e Angel Di Maria, più Bremer e Leandro Paredes da una parte, Robert Lewandowski e Franck Kessié, più Raphinha e Jules Koundé dall’altra, erano più di una garanzia per il passaggio agli ottavi di Champions – erano pure rimaste contente per come era andato il sorteggio, evidenza in più che seguire i sorteggi non conta un tubo – e per una stagione di lotta per la vittoria del campionato.

  

Alla Juventus è andata peggio che al Barcellona. Pogba e Di Maria, sessantatré anni in due, non hanno quasi mai giocato, Bremer il suo l’ha fatto, ma meno bene che con la maglia del Torino, Paredes non è s’è ben capito a cosa serve in mezzo al campo. La classifica dice ottavo posto a meno dieci dal Napoli capolista e a meno cinque dall’ultimo posto utile per la qualificazione alla prossima Champions League (ora occupato dall’Atalanta). Poteva andare peggio, poteva piovere.

 

Il Barcellona quanto meno è secondo nella Liga, buona parte del meglio del suo settore giovanile sta giocando e promette gran bene (sebbene i tempi di Xavi, Iniesta, Busquets, Messi siano parecchio cambiati) e il gran giocatore su cui aveva puntato per tornare subito a vincere un gran giocatore lo è davvero. Robert Lewandowski sta facendo quello per cui lo avevano preso: ha giocato sedici partite, undici in campionato e cinque in Champions, ha segnato diciassette gol, dodici in campionato e cinque in Champions. Tutto il resto va meno bene, a tal punto che, almeno a oggi, si è ancora mica capito a cosa sono serviti certi acquisti e a quelle cifre.

 

C’è nulla di irrimediabile nel calcio, nemmeno una eliminazione in Champions. I modi e i tempi per rimediare ci sono ancora e non c’è niente di meglio di qualche vittoria di fila per eliminare la paura di aver sprecato una stagione.

 

Proprio per questo hanno ragione Massimiliano Allegri e Xavi a dire che non c’è nessun fallimento, non ancora almeno. E ha ragione l’allenatore del Barça a dire che serve autocritica. È questa che trasforma le delusioni in vittorie.

 

Il problema sembra però che questa autocritica non ci sia stata prima e che proprio perché non c’è stata prima sia difficile che arrivi ora. La sicumera dei due club di proseguire lungo strade iniziate a tracciare la scorsa stagione quando in un’illuminazione decisero che non c’era niente di meglio del passato per tornare a fare ciò che riusciva facile in passato, cioè vincere. In bianconero era tornato Allegri, in blaugrana era arrivato l’ennesimo discepolo di Pep Guardiola.

 

Xavi da persona calcisticamente intelligente qual era e qual è c’aveva messo un po’ ad accettare, voleva avere la certezza che il club fosse tornato a essere un club e non una banda del buco in bilancio com’era stato. La troppa passione per quei colori l’hanno però accecato. Il Barcellona s’è venduto parte del futuro per ipotecare un presente europeo che è sfumato contro Inter e Bayern (che ieri sera ha impartito una lezione di calcio ai catalani).

 

Sarebbe stato più saggio per entrambe le società credere che nulla può ritornare davvero e che dopo tante vittorie la cosa migliore da fare è “uccidere” i padri di quelle vittorie. Al Real Madrid funziona così da sempre. Anche quando si riprende la via abbandonata. Ma questo vale solo quando di mezzo c'è Carletto Ancelotti e una società che ha sempre chiaro che non è il fenomeno di turno a determinare le vittorie, ma sono, anche e non solo in parte, le risorse tecniche ed economiche.

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