Gran calma #11

Il capitale umano del Napoli di Spalletti

Enrico Veronese

In maglia azzurra titolari e riserve giocano tutti alla stessa intensità, con la stessa consapevolezza di ciò che va fatto. E attenzione all'Udinese: due passi falsi di fila non significa ridimensionamento

I risultati della 11a giornata di Serie  A

Juventus-Empoli 4-0 (8° Kean, 56° McKennie, 82° 94° Rabiot)

Salernitana-Spezia 1-0 (48° Mazzocchi)
Milan-Monza 4-1 (16° 41° Diaz, 65° Origi, 70° Ranocchia, 84° Leao)
Fiorentina-Inter 3-4 (2° Barella, 15° Martinez, 33° Cabral, 60° Ikone, 73° Martinez, 90° Jovic, 95° Mkhitaryan)

Udinese-Torino 1-2 (14° Aina, 26° Deulofeu, 69° Pellegri)
Bologna-Lecce 2-0 (13° Arnautovic, 35° Ferguson)
Atalanta-Lazio 0-2 (10° Zaccagni, 52° Felipe Anderson)
Roma-Napoli 0-1 (81° Osimhen)
Cremonese-Sampdoria 0-1 (78° Colley)
Sassuolo-Verona 2-1 (2° Ceccherini, 32° Lauriente, 74° Frattesi)

  

La classifica della Serie A dopo l'11a giornata

Napoli 29; Milan 26; Lazio e Atalanta 24; Roma 22; Udinese e Inter 21; Juventus 19; Sassuolo 15; Torino 14; Salernitana 13; Empoli 11; Bologna, Fiorentina e Monza 10; Spezia 9; Lecce 8; Sampdoria 6; Verona 5; Cremonese 4.

  

Perché a Napoli il capitale umano conta, ma più ancora esso determina la squadra

I soliti allibratori orientali pare stiano già quotando quale partita segnerà la prima sconfitta del Napoli capolista, e quindi quale formazione avrà l’onore di infliggerla. Dal 31 agosto, era un caldo ottobrino, gli azzurri non perdono punti: fu il bolide del leccese Colombo a intestarsi il traguardo, dopo lo 0-0 di tre giorni prima al Franchi. Da allora, la macchina messa a punto da Spalletti non ha perso un colpo in Italia e in Europa, distinguendosi per qualità di gioco, coesione, alternative, virtù dei singoli. A proposito, lo strapotere partenopeo è tanto da far chiedere se appunto corrisponda al complesso più forte - e, per ora, non vi è dubbio - o anche alla somma degli interpreti: i calciatori del Napoli sono, uomo per uomo, i più forti del campionato? Questo è in discussione: è vero che Osimhen (come il miglior Ibrahimovic) farebbe giostrare alla perfezione anche il 4-5-1 di Guidolin, che un Kvaratskhelia non si trova sotto il cavolo, che cambi come Raspadori e Simeone non tutti li hanno. Ma il fattore umano si vede anche quando entrano, per dire, Gaetano o Zerbin: tutti la stessa intensità, la stessa consapevolezza di ciò che va fatto. È questo fattore U, il capitale umano, la vera cifra del successo: che va oltre gli addendi (sulla carta, appena inferiori a Inter, Milan e forse a quella stessa Roma messa alle corde), ed esalta ciascun protagonista. Di solito, le storie così vanno a finire in un’unica, inevitabile direzione: ma i siti di scommesse hanno notoriamente più gran calma di chi si siede lungo il fiume.

   

Perché l’Udinese saprà rialzarsi da due inopinate battute d’arresto, ma Beto serve a lei e a noi

Non era solo fortuna, quella dell’Udinese che nelle prime giornate di campionato aveva mostrato solidità e ottenuto risultati prestigiosi, proiettandola nell’alta classifica. Ma come non erano fenomeni prima, non sono certo brocchi ora, dopo aver perso in maniera rocambolesca la partita interna di Coppa Italia contro il Monza (rigiocandola cento volte il risultato sarebbe diverso) o, in maniera appena più meritata, quella contro il Torino sempre alla Dacia Arena: forse qualche giocatore segna un po’ il passo atletico, ma il carattere è lungi dall’esaurirsi. E pure le risorse tecnico-tattiche: a metà incontro Sottil ha cambiato entrambi gli interni di centrocampo, come a dire le batterie, mentre Jurić faceva lo stesso con la catena sinistra dell’attacco, indovinando la mossa. Semmai, stupisce l’ennesima panchina iniziale per Beto: il centravanti portoghese, scovato nella serie cadetta del suo paese, aveva convinto tutti in merito alle proprie doti, a suon di gol e prestazioni dominanti. Il suo modo di interpretare il ruolo, forse d’altri tempi, è un piacere per gli occhi e Sottil - che lo allena ogni giorno - ce lo nega per buoni 60 minuti di gioco: certo, gran calma perché i risultati sono dalla sua, ma li ha ottenuti anche grazie alle reti decisive del numero 9. Che per questione di centimetri pure non la raddrizzava contro il Toro, all’ultimo soffio.

  

Perché le sostituzioni programmate nei minuti precisi spaccati tolgono umanità al calcio

Saranno i retaggi del periodo più buio del Covid, quello a porte chiuse, ma ormai si è fatta l’abitudine alle sostituzioni programmate al 60° minuto esatto di una partita, o al 75°, non un secondo prima né dopo. Gli slot simultanei “obbligati”, certo, portano anche a questo (e, come il resto della regolamentazione emergenziale, bisogna anche pensare di rimuoverli): ma un po’ deprime che accada indipendentemente dall’andamento del gioco in quei dati minuti, dalla prestazione stessa del sostituto designato. Come si è visto nell’ultimo turno, la gran calma dei trainer - in attesa di guizzi, o per converso a dispetto di prove convincenti - ha incontrato il limite del “minutaggio” da far fare a questo o quello, sempre rigorosamente a cifra tonda. Un altro passo verso la snaturalizzazione del calcio, la sua riduzione alle meccaniche degli e-sport; analogamente inspiegabile chi, dalla panchina, fa scaldare un elemento e lo inserisce al 49°, al 52° minuto, quando poteva fargli cominciare la ripresa senza umiliare il sostituito. Magari un giorno sarà solo un ricordo balzano, assieme agli striscioni “mi dai la maglia?”, ai token del tifoso e alle criptovalute in tutte le divise.

  

Perché la crisi porta a scegliere soluzioni interne, e il campo dimostra che non sono ripieghi

Delle quattro panchine saltate fino a ora in Serie A, due sono state coperte da debuttanti assoluti, già nei rispettivi organici per il settore giovanile. Raffaele Palladino e Salvatore Bocchetti, potenzialmente ancora in età agonistica, sono stati scelti “in casa” perché, onestamente, non avrebbero gravato ulteriormente nei rispettivi bilanci: decisioni sfrontate, anche temerarie considerando che si tratta di società (Monza e Hellas Verona) destinate a doversi conquistare la salvezza fino all’ultima giornata. Nessuna esperienza in Serie A o nel calcio “degli adulti”, ma molta vicinanza - almeno ipotetica - a chi nello spogliatoio c’è da più tempo, a giocatori dei quali entrambi possono essere stati compagni di squadra. Eppure, senza far torto ai gemelli di triplete Stanković e Thiago Motta, i suddetti riescono già a sorprendere: i brianzoli hanno cominciato a vincere, e anche contro il Milan non hanno avuto paura. I veneti, gagliardi di fronte ai campioni d’Italia, hanno gettato al vento tante buone occasioni al Mapei Stadium (D’Andrea il nuovo Berardi?) e mostrano vitalità, piglio e organizzazione - fondamentale la crescita di Tamèze, come di Vecino e Marusić nella Lazio - che si erano smarriti. A chi pensa che il destino di questo sport siano le fughe notturne di Emery, col Villareal in braghe di tela a metà stagione, gran calma: dall’Italia arriva l’idea che allevare è un’altra soluzione possibile.

  

Perché la Coppa Italia è l’operazione futuro, e Leandro Sanca un nome da segnarsi

Invece di parlare degli arbitri, dei busillis analoghi risolti in maniera differente, del Var e del caso Karsdorp, una boccata d’aria fresca arriva dalla Coppa Italia. Solitamente serbatoio di chance per chi affolla le panchine, talvolta si trasforma in scout di talenti futuribili: è il caso di Leandro Sanca, portoghese dello Spezia, che nel match infrasettimanale opposto al Brescia ha danzato sulle punte come da tempo non si vedeva in un terreno italiano. Il suo è un calcio d’istinto, tecnica non appresa a scuola, follia del momento e un pizzico naif, al servizio del centravanti e del gioco offensivo. YouTube lo paragona a qualche Dembelé, esagerando si pensa a Leroy Sané: eppure (la gran calma qui è un difetto, perché il tempo è qui e ora) il campo lo vedrà poco, come poco lo sta vedendo Cristian Bonaiuto della Cremonese. Non propriamente un virgulto, alle soglie dei trent’anni: eppure determinante nella vittoria contro il Modena a suon di cross, assist, calci da fermo e pennellate d’autore. Strano che Alvini, uno bravo, lo tenga ai margini proprio nelle partite - lo scontro diretto con la Sampdoria, le uniche due senza vittorie fino a ieri - che possono essere decise da chi ha piede migliore. Davanti ai blucerchiati tesissimi, con Audero che vale mezza squadra (come Sernicola dirimpetto), possibile che un prospetto del genere non avesse qualcosa da dire in una partita già decisiva il 24 ottobre?

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