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calcio ed elezioni

La tripletta di Benzema che ispira la doppietta del suo tifoso Macron

Maurizio Crippa

Per la Francia era troppo cattivo ragazzo, troppo poco francese e troppo adorato dai giovani (dis)integrati islamici. Ora che molto è cambiato, l'attaccante del Real Madrid è un idolo, un modello di integrazione

Che volete che importi, ora che va per i 35, se con l’high skin e la barba da vero muslim si sforza di sembrare ancora il banlieusard che invece ha smesso di essere da tempo (“è cambiato, l’ho trovato molto più maturo e gentile”, ha detto il gran capo del calcio francese, Noël Le Graët, fino a pochi anni fa il suo peggior nemico), da quando è diventato uno dei più pagati hidalgo di Madrid, ora che alla corte di re Florentino non c’è più Cristiano a fare ombra al bomber musulmano. Che volete che importi un passato di denunce e un po’ di risse, qualche processo, i rapporti borderline mai ben chiariti con il suo opaco entourage. Che volete che sia il ricordo della Marsigliese non cantata, “perché il mio paese è l’Algeria”, le accuse al razzismo dei francesi. Tutte quelle ruggini sotto traccia che lo fecero cacciare dai Blues nel 2016, causa una certa opinione pubblica avversa e soprattutto i veleni con Didier Deschamps, un soldatino basco e gollista ma non certo così suicida da non convocare gli altri “black” e gli altri “beur”.

Oggi Karim Benzema, alla seconda tripletta in due partite di Champions – con la prima aveva steso quei fighetti parigini del Psg, che ai francesi cominciano a stare davvero sulle balle: spendono spandono e non vincono mai; l’altra sera invece ha steso da solo il Chelsea ex di Abramovich e ora sequestrato come uno yacht – è un idolo francese. A 34 anni, da emigrato spagnolo di lungo corso, il campione nazionale che non era mai stato.

 

Ieri il Figaro lo lanciava per il Pallone d’oro, e se a votare fossero i tifosi sarebbe già suo. Niente male, per uno che al trionfale Mondiale di Russia non lo portarono, perché considerato troppo cattivo ragazzo, troppo poco francese e troppo adorato dai giovani (dis)integrati islamici. Del resto in Francia non s’era mai trovato granché bene, a 22 anni era già emigrato nei Blancos, senza mai una nostalgia, anche se per anni gli toccò digerire la parte della spalla di CR7. Poi venne il processo con l’accusa di aver partecipato a un ricatto ai danni di un compagno di squadra, e gli screzi che portarono al suo allontanamento dalla Nazionale, mentre il mito della nazionale “black blanc beur” (quella di Zidane del 1998) si appannava. Ma erano passati anche molti anni, erano gli anni delle banlieue incendiate e del Bataclan. A Marca disse che il clima razzista del paese e l’avanzata del Front National avevano pesato sulla sua esclusione. Non la presero bene, in Francia. Del resto il clima era tale, dopo la debacle ai mondiali del Sudafrica che sui giornali si potevano leggere seriose analisi sociologiche di questo tipo: “Ma cosa vi aspettavate da loro? Sono pur sempre i figli delle banlieue e dell’immigrazione di massa”. Acqua passata, ora è un idolo. E che il gran mutamento sia merito anche di Emmanuel Macron non è un mistero. Fu il presidente che brigò e guidò (from behind, ovviamente) perché il grande talento francese, l’attaccante più forte al mondo degli ultimi anni, almeno dopo l’appannamento di CR7, fosse reintegrato per gli Europei. Anzi, disse proprio: “Penso che Karim Benzema rappresenti qualcosa di importante… Penso che sia un modello di riuscita per molti giovani immigrati”. Tombola, anzi tripletta.

Oggi Benzema, alla vigilia delle presidenziali in cui Marine Le Pen fa quasi meno paura – alla Francia europeista e multietnica – di Zemmour e delle strampalate ma possibili alleanze rosso-brune, il goleador di origini algerine non è più il reprobo che la Francia bianca a tendenza sovranista aborriva, ma è diventato uno spendibilissimo esempio di integrazione riuscita. Un santino ben lucidato nel pantheon di Macron. Che spera anche lui di fare la sua doppietta. Chissà.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"