Foto  EPA/ANATOLY MALTSEV

putin l'ha fatta davvero grossa

Perché la Uefa vuole spostare la finale della Champions League da San Pietroburgo

Giovanni Battistuzzi

Domani la riunione per decidere se è possibile cambiare la sede e dove spostare la partita del 28 maggio. Le pressioni di Ue e Stati Uniti sul presidente Ceferin e il problema dello sponsor Gazprom 

La Uefa ha deciso che la finale di Champions League a San Pietroburgo, Russia, non s’ha da fare dopo l'invasione dell'Ucraina. Il presidente Aleksander Ceferin ha convocato una riunione di emergenza del comitato esecutivo per venerdì mattina per ratificare la decisione che ha preso dopo aver sentito in questi giorni buona parte dei presidenti federali delle nazioni che compongono la confederazione del calcio europeo.

Dove verrà giocata la finale di Champions League, prevista per il 28 maggio, non è stato ancora deciso. Si inizierà a discuterne domani e probabilmente ci vorrà del tempo prima che venga stabilita una nuova sede. Anche perché prima devono essere rescissi i contratti con il paese ospitante e con gli sponsor a lui legati. Solo allora si potrà cercare un'altra città, una nazione, che sia disposta a investire quasi sei milioni di euro per organizzare l’evento, a tanto – poco più, poco meno – ammonta l’investimento per accaparrarsi l’atto conclusivo dell’evento più importante del calcio europeo.

A far titubare la Uefa però non sono i contratti da stracciare con il comitato organizzatore. I soldi per pagare le penali ci sarebbero, sempre che le sanzioni europee non risolvano la questione. Il problema sta altrove, anzi no: sta sempre in Russia e sempre a San Pietroburgo, a meno di quattro chilometri dallo stadio che dovrebbe essere teatro della finale di Champions League, lì dove sorge il grattacielo della Gazprom.

L’azienda energetica russa è uno degli sponsor più munifici della Uefa, alla quale ha versato oltre 300 milioni di euro negli ultimi dieci anni, e l’amministratore delegato di Gazprom Neft, Alexander Dyujov è anche membro del comitato esecutivo della Uefa. Inoltre l’ultimo accordo firmato, quello per il triennio 2021-2024 dovrebbe portare nelle casse svizzere della confederazione ben più dei 40 milioni di euro a stagione dell’accordo precedente (2018-21) le cui cifre non sono state ancora rese note, ma fonti sentite dal Foglio hanno parlato di un incremento che supera il 10 per cento.

Foto EPA/Anatoly Maltsev 

   

Anche per questo sino a questa notte, nessuno aveva mai preso in considerazione la possibilità di spostare davvero la finale di Champions League, nonostante le pressioni che le federazioni calcistiche di Germania e Inghilterra avevano iniziato a fare al presidente Ceferin.

D’altra parte in questi anni, almeno da quando il calcio ha superato i confini del mero sport che creava profitti per trasformarsi in una macchina economica e di soft power, la Uefa (ma anche la Fifa) ha sempre cercato di stare il più lontano possibile dai problemi geopolitici europei (e mondiali). Contava il business e finché c’erano sponsor e investitori pronti a pagare e a pagare bene, tutto poteva passare tranquillamente in secondo piano. La giustificazione era sempre una e tautologica: lo sport è sport. Con un corollario: non facciamo politica. Se non del tutto falso, poco o niente vero. Tant’è.

  

Se la Uefa si è addirittura presa la briga di prendere in considerazione l’idea di poter davvero spostare per questioni politiche una finale, tra l’altro nella città di uno dei suoi più importanti sponsor, vuol dire che la Russia di Putin ha davvero oltrepassato ogni limite in Ucraina.

Il calcio è sport sì, ma fino a un certo punto. Il suo impatto sull’immaginario mondiale spesso supera anche quello della cronaca di guerra. L’Ue e gli Stati Uniti lo sanno benissimo e per questo hanno cercato di far capire alla Uefa, come confermano al Foglio fonti interne alla confederazione, che serviva una presa di posizione forte anche da parte del mondo del pallone.

Servirà tempo Ma per capire se questa presa di posizione porterà anche a sanzioni calcistiche.

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