Il Foglio sportivo - That win the best
Poveri voi se pensate a Balotelli e a Joao Pedro
Almeno nessuno dirà più che l’infallibile rigorista Jorginho merita di vincere il pallone d’oro
La personificazione retorica che più amo nel calcio è la nemesi. Quando lunedì scorso avete sentito cantare (orrendamente, lo ammetto) God save the Queen prima della partita decisiva contro l’Irlanda del nord avreste dovuto pensarci. La finale di Wembley, i meme scemi su Chiellini, i Tre Leoni battuti ai rigori per colpa dell’insipienza psicologica del nostro allenatore, il dramma di una nazione, la nostra, che si ostina a non vincere niente, i tatuaggi sull’Inghilterra che vince l’Europeo fatti prima della finale, ogni fottuto it’s coming home che abbiamo cantato, tutte queste cose si sono sublimate nel pietoso 0-0 dell’Italia-campione-d’Europa contro una squadra di giocatori britannici la maggior parte dei quali tra dieci anni verrà ricordata soltanto dai propri parenti. Mentre noi passeggiavamo 10-0 a San Marino e ci qualificavamo per i Mondiali invernali del Qatar (dando il là al solito entusiasmo per cui durante le qualificazioni siamo fortissimi e poi perdiamo ai rigori a Mondiali ed Europei), gli Azzurri maledicevano Jorginho, gli esperti su Twitter tornavano a bollare Mancini di essere il solito stronzo, un paese intero si apprestava a vivere i prossimi quattro mesi fino ai playoff con l’asma psicosomatica.
È stato a quel punto che, come in una caricatura degli esperimenti di Pavlov, il giornalismo italiano ha dato prova del disagio in cui è immerso. Non mi riferisco agli avvoltoi che vi hanno subito spiegato che l’Italia è quella vista contro Svizzera, Bulgaria e Irlanda del nord, e che l’Europeo è stata un’eccezione fortunata, una sfilza di botte di culo irripetibili. Né mi riferisco a chi – dopo averlo insultato dopo ogni prestazione per la sua impalpabilità – si è messo a rimpiangere Immobile. Né a chi ha provato a dire che Donnarumma è una pippa sopravvalutata. Mi riferisco a quei sadici che hanno ritirato fuori Mario Balotelli. Araba fenice (e infelice) del giornalismo sportivo spompato, Balotelli è il rifugio dei banali, l’ultima spiaggia dei cercatori di clic, la provocazione finale prima della depressione (anche se se la sta giocando con l’ultima idea che ho letto: italianizzare Joao Pedro. Dopo c’è solo il coma farmacologico).
Nessun giocatore al mondo ha ricevuto più sentenze definitive di lui, nessuno è stato crocifisso come finito e fallito più di lui. Eppure ogni volta si ripropone tipo reflusso gastrico, ogni volta che cambia squadra ci spiegano che è la sua ultima occasione, ogni volta che segna qualche gol ci giurano che è tornato, ogni volta che fallisce ci ricordano che loro ce lo avevano detto che era un giocatore fallito. Con Balotelli vai sul sicuro: lui ci casca e parla, tutti ne parlano, se c’è di mezzo Mancini si può anche giocare con la storiella del pupillo ai tempi di Inter e Manchester City, si possono fare un sacco di lanci sui social e vedere come reagisce la gente, forti comunque del fatto che in questo momento giocherebbe meglio di Belotti anche mia sorella, Molly O’Malley.
Per fortuna almeno avete smesso di bestemmiare dicendo che Jorginho meritava il Pallone d’Oro per avere fatto da attore non protagonista nella Champions del Chelsea e avere tirato un rigore contro la Spagna. Da lì in poi ne ha sbagliati tre, tirati uno peggio dell’altro. Forse ve lo meritate, Balotelli. Ci vediamo in Qatar. Forse.
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