Il "golpe" del calcio è già finito
L'incredibile fiasco di chi ha voluto la Superlega
Le sei inglesi lasciano in serata, anche l'Inter dice addio. Progetto ridimensionato, scioglimento in vista
L'Uefa può tornare a gongolare, ma deve cogliere l'immensa occasione di riformare per davvero l'organizzazione che presiede: le faccende da sistemare sono sotto gli occhi di tutti, e in fondo il presagio di sventura di Florentino Perez qualche fondo di verità ce l'ha
La sera del 15 luglio 2016, nelle convulse ore del tentato golpe in Turchia ai danni di Erdogan, un acuto osservatore commentò in tv: i colpi di stato hanno possibilità di riuscire solo se vengono portati a termine entro le prime 48 ore. Dopo, il potere si ricostituisce, si riorganizza, soprattutto reagisce e in qualche modo te la fa pagare. Così l'ambiziosa Superlega si è accartocciata un po' penosamente su sé stessa, sulle proprie differenze interne, sulle naturali diffidenze tra inglesi e resto del mondo che sono venute al pettine dopo le ovvie pressioni dei governi di mezza Europa, che pure incredibilmente non erano state messe in conto. Appena ieri avevamo peccato di eccessivo ottimismo, scrivendo che i dodici della Superlega, pur finendo per sedersi al tavolo delle trattative, avrebbero comunque mantenuto il coltello dalla parte del manico. E invece è finita come quella scena di “Prendi i soldi e scappa” in cui Woody Allen pianifica con cura la propria evasione dal carcere e progetta di minacciare una guardia con una finta rivoltella intagliata nel sapone, senza aver calcolato che sta piovendo: e la pistola gli si scioglie in mano.
Miracolato da questa pandemia di cialtronismo manageriale, Ceferin può tornare a gongolare, e da appassionati di calcio ci auguriamo che colga l'immensa occasione di riformare per davvero l'organizzazione che presiede: le faccende da sistemare sono sotto gli occhi di tutti, e in fondo il presagio di sventura di Florentino Perez di appena ventiquattr'ore fa (“Senza Superlega il calcio sarà morto entro il 2024”), per quanto evidentemente pro domo sua, forse qualche fondo di verità ce l'ha. Ma ci sarà tempo e modo di tornare sul futuro del calcio italiano e del calcio europeo, sollevati entrambi dalla rimozione di questa spada di Damocle: oggi è il momento di fare luce sull'incredibile fiasco dei cosiddetti soci fondatori, che alla prova dei fatti si sono rivelati meno organizzati dei Soliti Ignoti di Monicelli.
La comunicazione. Un disastro. Se vuoi sbarcare su tutti gli schermi del mondo con un progetto così dirompente, che senso ha annunciarlo di soppiatto a mezzanotte senza nemmeno un video, una dichiarazione a voce, quantomeno un tentativo di risultare seducente? Per forza poi si diffondono le interpretazioni più disparate, come l'idea che la Superlega fosse un campionato interamente chiuso o un'operazione “alla NBA”, teorie che non corrispondono a verità. Ma che importa? Che importa se invece di Messi, Ronaldo o Salah la tua faccia da copertina è Florentino Perez, mentre intanto scorrono h24 i dubbi di Klopp e Guardiola? Persino l'accorato monologo di Roberto De Zerbi, la cui popolarità non travalica le Alpi, è risultato più efficace dei borbottii del capo del Real Madrid, il cui flebile tono di voce tradiva la sotterranea disperazione da presidente di un club gestito talmente male da aver bisogno di soldi, per sua stessa ammissione, qui e ora. Certo, almeno lui ha risposto al telefono.
I dubbi, mai chiariti. Quando parte? Già ad agosto? Quanti e quali sono i “soci fondatori”: dodici, quindici, c'è il Bayern (spoiler: no), la Roma (spoiler: no), il Porto, il Lipsia? Come funzionano le qualificazioni per le altre cinque? Chi sono gli arbitri, e da chi dipendono? Il capo della SuperLega sarebbe stato uno dei presidenti delle squadre in gara: possibile credere all'indipendenza di arbitri scelti (e ben pagati) direttamente da uno dei presidenti della Lega? Visto che la SuperLega si rivolgeva a un bacino d'utenza di un miliardo di telespettatori, su che fuso orario sarebbero andate in onda le partite? Domande rimaste inevase, quando dovevano essere oggetto di FAQ, rassicurazioni, chiarimenti mai arrivati nelle prime e ultime 48 ore di vita. Al loro posto, dichiarazioni surreali come quelle rilasciate a “Le Parisien” dal segretario generale Anas Laghrari: “I giovani calciatori” (riportiamo testualmente) “hanno voglia di giocare grandi partite contro grandi giocatori. Neymar sognava di affrontare Messi in Champions, ma era infortunato e forse non potrà mai giocarci contro”. E perché i sogni di Neymar dovrebbero valere più di quelli di un giocatore dell'Atalanta o del Siviglia?
Le sottovalutazioni, imperdonabili. Se vuoi ribaltare il tavolo, devi controllare anche sotto i tappeti. Incredibile la sicumera sfoderata da Florentino Perez al lunedì, se al Manchester City è bastato un semplice comunicato al martedì per sfilarsi dal progetto. Questi super-manager che gestiscono centinaia di milioni di euro non sono stati in grado di prevedere la difesa compatta di Bruxelles e di quasi tutti i principali governi europei (a eccezione di quello spagnolo, molto più timido, preso in mezzo nell'eterna lotta Barcellona-Madrid). Non si sono insospettiti di fronte al diniego del potentissimo e virtuosissimo (almeno rispetto a loro) Bayern Monaco, che ha sottolineato il concetto portando Rummenigge alla presidenza dell'ECA abbandonata nottetempo da Agnelli. Non hanno saputo opporre uno straccio di strategia mediatica alla forza popolare, certamente intrisa di ingenuità e retorica, eppure dirompente nei tg, sui social e pure per strada com'è accaduto in Inghilterra, dove i tifosi del Chelsea hanno esposto cartelli come “We want our cold nights in Stoke”, una frase da film di Ken Loach, probabilmente poco adatta alla realtà di una squadra felicemente amministrata da 18 anni da un oligarca russo: eppure l'immagine è tutto, lo slogan va a segno, tutto ciò che non sono riusciti a produrre – nonostante mesi, forse anni di febbrili riunioni carbonare – quegli squali della Superlega.
Adesso si apre il tempo del dialogo con l'UEFA, evidentemente l'unica via logica per chi già non si era fatto impressionare dal clangore delle sciabolate delle prime 48 ore. Vorremmo essere ottimisti e dirvi che il peggio è passato, ma la mediocre formula della SuperChampions dal 2024 ci fa intuire che anche a Nyon sono tempi di bassa marea. Cadono a pennello due tweet di Simon Kuper, eccellente giornalista e scrittore di calcio, che ieri sera ha citato un passo del suo libro Calcionomica (2009): “Qualunque persona che passi un po' di tempo all'interno del calcio scopre, prima o poi, che proprio come al centro del business del petrolio c'è il petrolio, al centro del business del calcio c'è la stupidità. Una volta un mio collega propose un affare a un'importantissima istituzione del calcio inglese. La cosa fallì e, tempo dopo, mi disse: accetto di lavorare con gli squali, e accetto di lavorare con gli stupidi, ma non accetto di lavorare con gli stupidi che si credono squali”.
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