AP Photo/Frank Augstein, Pool

La Superlega rischia di finire prima ancora di cominciare

Francesco Gottardi

Le inglesi al completo guidano il dietrofront, il grande scisma è già dimezzato: le 48 ore folli dell'élite del calcio

Come un castello di carte. Dopo nemmeno 48 ore dal lancio dei 12 club fondatori, la Superlega inizia clamorosamente a implodere e a perdere pezzi. A partire dall’Inghilterra: il Manchester City è stato il primo a lasciare la neonata competizione, seguito a ruota da tutte le altre squadre di Premier League. Vacilla anche l’Atletico, in Spagna. Mentre per il Barcellona, fa sapere il neopresidente Joan Laporta, “la decisione finale spetterà ai soci blaugrana”. Nella tarda serata di martedì i 12 hanno convocato una riunione d’urgenza. E a notte fonda è seguito un comunicato: “Nonostante l'annunciata uscita dei club inglesi, costretti a prendere tali decisioni a causa della pressione esercitata su di loro, siamo convinti che la nostra proposta sia pienamente allineata alla legge e ai regolamenti europei. Date le circostanze attuali, riconsidereremo i passaggi più appropriati per rimodellare il progetto”. Tradotto: in qualche modo andremo avanti. Sia pure in 6. Forse meno: la prossima a volersi sfilare sarebbe l’Inter.

 

Un ribaltone inimmaginabile solo qualche ora fa. “Questo torneo è l’unica strada possibile”, dichiarava secco Florentino Perez, numero uno del Real Madrid e primo presidente della Superlega: “Se non guadagniamo noi, morirà il calcio”. Che però si è permesso di dissentire in blocco, deciso: federazioni – la Uefa di Ceferin in testa –, giocatori, addetti ai lavori. Poi la condanna altrettanto bipartisan della politica europea. Ma a sfondare le barricate, romantico colpo di scena, sarebbero stati i tifosi. Ovunque. Sui social, dov’è schizzato l’hashtag #NoToSuperLeague. E più nello specifico fuori dai cancelli di Stamford Bridge, Londra: lì i tifosi del Chelsea si sono radunati furenti, prima del match di campionato in programma contro il Brighton. E secondo i media inglesi sarebbero stati loro, alla fine, a far cambiare idea ai dirigenti dei Blues – che pure erano saliti sul treno della Superlega in extremis, rispetto agli altri club scissionisti, evidentemente poco convinti.

 

Da lì in poi è scattato l’effetto domino. Mentre anche il City formalizzava il dietrofront in tempo di record è uscito puntuale il tweet di Kevin De Bruyne, suo giocatore simbolo e fresco di stellare rinnovo, spingendo per “trovare una soluzione comune” e salvare lo spirito competitivo dello sport. Dall’altra parte di Manchester, sponda United, venivano annunciate le dimissioni di Ed Woodward da vicepresidente dei Red Devils alla fine del 2021 – già in programma, viene contestualmente reso noto, ma il tempismo non può essere casuale. Poi le altre dichiarazioni di resa: Liverpool, Arsenal, Tottenham, tra mea culpa – “We have heard you” – e malcelati rimpianti – “Siamo dispiaciuti per l’angoscia e lo shock provocato da questa proposta che noi ritenevamo importante”, scrivono gli Spurs. Tutte online in un colpo solo, allo scoccare della mezzanotte. La carrozza ritorna zucca e stavolta piace così.

 

Che la crepa sia partita dalle inglesi ha senz’altro delle ragioni economiche: la Premier League è il campionato più ricco del mondo e il costo relativo di rinunciare alla famigerata Superlega è molto inferiore rispetto alle altre realtà. Anche in Liga però qualcosa si è mosso. Le italiane invece stanno tardando più di tutte. Fonti nerazzurre all’Ansa riferiscono che “l’Inter non è più interessata al progetto”, secondo The Athletic nemmeno il Milan. Così la Juve – per ora – sembra l’ultimo scudo silenzioso attorno a Florentino. Era andato in all-in, insieme ad altre undici grandi d’Europa. Ma all’improvviso, l’unica storia che frulla in mente è quella dei dieci piccoli indiani di Agatha Christie: and then there were none.

 

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