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L'appello all'etica di Uefa e Fifa non è una controstrategia credibile

Giuseppe Pastore

Esiste un centinaio di motivazioni per combattere il progetto della Superlega: la mozione dei sentimenti, da parte di chi gonfia il sistema da generazioni, ci sembra la meno indicata

"Sono innamorato del calcio con i tifosi, con il sogno che la mia squadra del cuore possa competere con le più grandi. Se questa idea della Superlega avanzerà, allora i sogni si spegneranno”. Chissà in che calcio ha vissuto fino a ieri mattina il centrocampista basco Ander Herrera, autore di un post retwittatissimo e iper-condiviso sui social nelle ultime ventiquattro ore. Chissà se scriverebbe le stesse cose se giocasse ancora nel Manchester United, la squadra di cui ha indossato la divisa dal 2014 al 2019. Chissà cosa ne pensa, in omaggio a un calcio più equo e solidale, del fatto che la società che gli paga un lauto stipendio – il Paris Saint-Germain – nel 2017 ha comprato Neymar (e poche settimane dopo anche Mbappé) aggirando platealmente le norme del fair play finanziario, contribuendo così a rendere più attraente l’immagine dell’intero campionato francese. Chissà cosa ne pensa del fatto che l’Uefa ha chiuso almeno un occhio sulle infrazioni del PSG, come rivelato dal New York Times nel giugno 2019, e ha archiviato l’indagine interna appellandosi a un vizio di forma un po’ pretestuoso. Chissà se è al corrente che la proprietà del PSG è diretta emanazione del paese che l’anno prossimo ospiterà un Mondiale di calcio tra i più turpi della storia, le cui nefandezze in materia di sicurezza sul lavoro sono note ormai da anni a tutti i media internazionali (leggiamo dal Guardian del 23 febbraio 2021: “Da quando il Mondiale del 2022 è stato assegnato al Qatar, sono morti più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, impiegati nella costruzione di stadi e infrastrutture”).

 

  

 

Esiste un centinaio di motivazioni per non condividere o combattere il progetto della Superlega: la mozione dei sentimenti ci sembra la meno indicata, specialmente se condotta da organizzazioni e società che quella stessa rana del pallone la stanno gonfiando da generazioni, più o meno consapevolmente, tutte impegnate nella spasmodica ricerca di soldi che portano ad altri soldi che portano ad altri soldi. I propositi della Fifa blatteriana risalgono ormai agli anni Ottanta e sono stati poi brillantemente tradotti in realtà dagli eredi: ricordiamo che nell’estate del 2026 andrà in scena il primo Mondiale a 48 squadre, organizzato da Canada, USA e Messico, che nel nome del soccer e del futbol supereranno agilmente antichi rancori. Non è così che verrà smontata la Superlega, non con questi proclami di purezza che suonano lunari a qualunque moderato appassionato di media memoria. Il presidente del Porto si è appellato ai princìpi dell’Unione europea: vien da chiedergli se la sua è la stessa società che più di altre ha contribuito a drogare il mercato europeo nell’ultimo decennio, con il trucchetto delle TPO (third-party ownerships) e delle triangolazioni con potentissimi procuratori.

 

Non è così che funzionano le grandi operazioni diplomatiche, a tutti i livelli. Non con le minacce e le lacrime di coccodrillo – “Non accetteremo che dodici squadre ci rubino il calcio” – che il presidente Uefa Ceferin sta versando proprio nell’anno in cui una delle due semifinali della “sua” Champions League è PSG-Manchester City, non esattamente la favola di Cenerentola che diventa realtà. Servono buona volontà, buoni dirigenti sportivi; realismo, capacità di adattamento, soprattutto la capacità di distinguere con lucidità quale mano regga il manico del coltello e quale la lama, e comportarsi di conseguenza. Serve anche più chiarezza, molta più chiarezza da parte dei club (finora dodici) che hanno messo a punto questo strappo epocale; abbiamo bisogno delle loro risposte punto per punto a tutte le obiezioni mosse da società nobili come il Bayern Monaco, che per ora stanno voltando le spalle alla Superlega.

 

Ecco, proprio all’oculato Bayern Monaco dovrebbe aggrapparsi ora l’Uefa, facendo dei bavaresi il club capo-cordata di una trattativa seria, costruttiva, in cerca del bene comune. Speriamo, ma non sarà facile: la sensazione è che in questa disputa tra apocalittici e integrati il fiume del calcio, rinsecchito dalla crisi e dalla pandemia, abbia individuato una nuova direzione precisa e irreversibile per arrivare al mare, parallela al cashflow. Nel maggio 1988 Silvio Berlusconi annunciò insieme al presidente del Real Madrid Ramon Mendoza un progetto di riforma di Coppa dei Campioni che prevedeva 32 squadre divise in otto gruppi da quattro: sarebbe diventato realtà nel 1999. Nell’estate 1998 tutti i quotidiani spararono a nove colonne la bozza, messa a punto in un weekend a Londra, di una cosiddetta “Superlega” (proprio così) a 32 squadre, senza retrocessioni, con 16 soci fondatori in possesso di una licenza decennale: tra quelle sicure c’erano Inter, Milan, Juventus, Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Ajax, PSG, Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Presto o tardi, i club ottengono sempre quello che vogliono.

 

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