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Il non detto dei super soci della Superlega: guadagnare di più vincendo di meno

Beppe Di Corrado

Il rischio di una lunga battaglia legale esiste, anzi è probabile, e potrebbe avere conseguenze pesantissime per il sistema. La riforma radicale della Champions League potrebbe essere una soluzione per evitare lo scontro

In una sola giornata, 12 club di calcio si sono messi contro i governi di mezza Europa, compreso quello dell’Unione, tutte le leghe, tutte le federazioni nazionali, l’Uefa, la Fifa, tutti gli altri club europei e a giudicare da reazioni su giornali, social, sondaggi istantanei anche un bel pezzo di tifosi. Il caso della Superlega immaginata, voluta e infine comunicata da 12 club di calcio tra cui Juventus, Milan e Inter, è roba seria, da non prendere né con istinto né con leggerezza. La dimostrazione sta proprio nella reazione di tutto il mondo, governi inclusi come si diceva. Perché qui il problema non è tanto il se (che comunque è un tema rilevante), ma il come. 

 

Perché le innovazioni nel calcio sono sempre state positive – vedi il format Champions che ha migliorato la Champions e lo spettacolo, e che all’inizio era criticato da tutti. Non piaceva, ma ha trasformato il gioco, i club e l’Uefa stessa in qualcosa di molto più contemporaneo, serio e rilevante. Qui però ci troviamo di fronte a una rivoluzione ad “accesso riservato” e questo certamente apre prima di tutto la grande questione del merito sportivo, ovvero il caposaldo del calcio come l’abbiamo conosciuto finora. Ora si dirà: come l’Nba. Riferimento giusto, interessante, certamente ispirazionale. Con un problema: l’Nba è la punta di un sistema che si muove in funzione di quella superlega e che da quella superlega prende qualcosa (oltre che dare). Qui no. 

 

Il problema è il come, si diceva. E infatti il rischio di una lunga battaglia legale esiste, anzi è probabile, e potrebbe avere conseguenze pesantissime per il sistema. L’esclusione dei calciatori dalle nazionali e dalle competizioni per nazionali sarebbero un danno per i club e per i calciatori stessi, così come anche l’esclusione dei club dai campionati, che isolerebbe i 15 dal resto del mondo del calcio.

 

I tifosi. Altro grande punto interrogativo. Sarebbe la fine delle rivalità storiche, o almeno potrebbe esserlo, indipendentemente dal fatto che lo si veda come un bene o un male. Ma ci vorrà molto tempo perché i tifosi facciano il passaggio definitivo tra ciò che hanno visto finora e ciò che vedranno. Vantaggio per i giovani, limite per i meno giovani che al momento sono la grande maggioranza degli appassionati. La penalizzazione delle leghe nazionali è oggettiva, quand’anche se i club della Superlega dovessero vincere le eventuali cause contro Leghe e federazioni non sarebbero incentivate a far giocare i migliori nei campionati domestici. E questo sarebbe un depauperamento dell’intero sistema. Il rischio concreto è che il torneo nazionale diventi una sorta di attuale Coppa Italia. C’è una questione molto più semplice, poi. I soci fondatori sono tutti club abituati a vincere. Così – se non potranno partecipare ai campionati nazionali – si condannano a non vincere per molto tempo (vince solo uno). Che effetto avrà sui tifosi e sulla percezione del club stesso? Dettagli? Forse. O forse no, se è vero che alla fine vincere è l’unica cosa che conta e ciò non vale certo solo per la squadra che questo motto ce l’ha scritto sulla maglia.

 

I 12 club hanno fatto la loro mossa. Audace e un po’ villana, stando alle reazioni violente, come quella del presidente dell’Uefa Ceferin. La palla adesso però è tutto a leghe, federazioni nazionali e internazionali. Nonché dei governi, variabile che forse non è stata presa fino in fondo in considerazione dai ribelli. Si tratta di una battaglia per denaro, innanzitutto. Non c’è solo quello, ma comunque è lì che si arriva. Sarà dura, durissima, qualcosa che rischia di far impallidire il caso Bosman che rivoluzionò il calcio negli anni Novanta, regalandoci tanti pensieri e però molte innovazioni. L’Uefa all’epoca fu beffata. Ora non può permetterselo. Da qua si parte, inevitabile. E forse la riforma della Champions varata ieri, probabilmente il vero obiettivo dei ribelli – vista la coincidenza temporale e politica con l’annuncio – potrebbe essere più coraggiosa, più innovativa, più interessante. La strada, forse unica, per riformare davvero la principale competizione europea (e i campionati), tenere tutto insieme e vincere. Anche sulle carte e nei board è l’unica cosa che conta, ma si può provare a far sì che non vinca solo uno. Prima che si facciano male tutti. 

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