Anche i lottatori di sumo piangono

L’arte dell’impossibile e le lacrime di Tokushoryu, l’ultimo arrivato primo. Storia di un mancato intrattenitore

Giulia Pompili

Roma. Un honbasho, uno dei sei tornei di sumo che si svolgono annualmente in Giappone, è soprattutto una sfida psicologica. I lottatori che fanno parte delle due divisioni più alte nella complicata gerarchia del sumo si sfidano per quindici giorni, a giorni alternati: due settimane di gara, due settimane di concentrazione e un lento avvicinamento alle finali. Così quando Tokushoryu, l’ultimo arrivato, cioè il più basso in grado tra tutti i partecipanti del Gran torneo di Tokyo di Capodanno, l’Hatsu Basho, ha vinto il combattimento finale, è successo qualcosa di impensabile. Trentatré anni, un metro e ottantuno centimetri di altezza, centottantotto chilogrammi di peso, Tokushoryu è scoppiato a piangere. E non riusciva a trattenere le lacrime neanche mentre l’arbitro gli consegnava il denaro simbolico di chi vince i combattimenti, in uno sport che è tutt’altro che uno sport, ma soprattutto tradizione, simbologia e disciplina.

  

Lunedì le prime pagine dei giornali sportivi giapponesi avevano tutti quell’immagine, quella di Tokushoryu in lacrime dopo venticinque secondi di combattimento contro un avversario con molti più titoli e molta più esperienza di lui, ma soprattutto con una base di ammiratori imparagonabile: Takakeisho. Eppure la reazione umanissima e inusuale di Tokushoryu è stata accolta con profonda ammirazione dai giapponesi. E non era scontato, per dei lottatori che ancora oggi sono considerati dei semi-dèi nello shintoismo, la religione tradizionale del Giappone, nonostante finiscano periodicamente sulle pagine di cronaca per violenze, bullismo, ed episodi legati alle scommesse clandestine. Non è raro che i grandi maestri di sumo piangano di gioia, dopo una vittoria. La cosa impressionante delle lacrime di Tokushoryu è stata l’emozione: quando è riuscito a buttare fuori dall’area di gara Takakeisho, ha realizzato di essere il primo “ultimo” a vincere il torneo da quarant’anni, e uno dei più giovani della storia.

    

E pensare che Tokushoryu in realtà è un tipo allegro. Ha una storia bella alle spalle, e profondamente giapponese. L’ha raccontata lui stesso in conferenza stampa, il giorno dopo la vittoria: “Nessuno di voi ha mai pensato che avrei potuto vincere, vero?”, ha detto sornione sorridendo ai giornalisti. E ha sorriso molto, durante l’incontro con la stampa. Ha detto di aver provato molte volte quell’intervista da solo, in bagno, davanti allo specchio, e che si è allenato parecchio non solo nel sumo, ma anche come intrattenitore. E’ cresciuto in una famiglia dove si rideva tanto, ha spiegato, e la madre gli diceva spesso di avere una predisposizione naturale per il manzai, l’arte del cabaret nipponico. “E’ lo spirito del Kansai che viene fuori”, ha detto Tokushoryu, che è originario di Nara, l’area dov’è effettivamente nato l’intrattenimento degli stand up comedian giapponesi, che spesso parlano il dialetto locale. Nelle due settimane di torneo era concentratissimo, tanto da non realizzare nemmeno a quale giorno fossero arrivati: “Giorno per giorno, un combattimento alla volta”, si ripeteva, “ero l’ultimo, non avevo nulla da perdere, ho solo fatto del mio meglio”.

   

Una settimana fa, durante questa specie di trance agonistica, è arrivata la notizia della morte a 55 anni di Katsuhito Ito, il suo storico allenatore al club di sumo della Kindai University. Tokushoryu ha detto ai giornalisti: “Dovevo vincere per lui”. Per le arti marziali giapponesi il rapporto con i sensei, i maestri, è più che paterno, di devozione completa. Kai Uchida e Tomohiko Kaneko hanno scritto ieri sull’Asahi Shimbun che è indicativa anche la tecnica con la quale Tokushoryu ha battuto Takakeisho: la presa alla cintura con la mano sinistra. Gliel’aveva insegnata Kitanoumi, il più grande lottatore della storia del sumo.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.