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Tonici e cordiali: un altro Giro di storie

Ma dove vai Vermouth in bicicletta? Monsù Carpano saluta il Giro d'Italia

Gino Cervi

La Torino del Giro e quella di Antonio Benedetto Carpano che quando inventò il Vermouth non poteva neppure immaginare che avrebbe vinto due volte la maglia rosa. Prima divagazione spiritosa sulle biciclette al Giro

Quando nel 1786, a Torino, Antonio Benedetto Carpano, erborista al servizio della liquoreria Marendazzo che teneva bottega sotto i portici di piazza della Fiera, l’attuale piazza Castello, all’angolo con via Della Palma, oggi via Viotti, inventò il Vermouth non poteva neppure immaginare che 170 anni dopo avrebbe fatto il Giro d’Italia e, addirittura, lo avrebbe vinto non una ma due volte. Non lo poteva immaginare per due motivi: nel 1786 non esisteva ancora la bicicletta – il barone von Drais avrebbe pensato a qualcosa di più o meno simile solo una trentina di anni dopo - ; ma soprattutto non esisteva neppure l’Italia, a cui cominciarono a lavorare mezzo secolo dopo, non senza qualche tentennamento, una discussa famiglia di imprenditori torinesi di origine transalpina.

Questa che state leggendo è la prima di una piccola serie di divagazioni ciclospiritose intorno al 107esimo Giro d’Italia, che oggi prende le mosse proprio da Torino, anzi, per la precisione da Venaria, dove i suddetti imprenditori tenevano una delle loro sardanapalesche regge fuori porta. A proposito delle divagazioni, sul “ciclo” possiamo dare garanzie, come pure sullo “spiritose”, o perlomeno nel senso della percentuale alcolica propria del contenuto (e talvolta anche della condizione inebriata dell’estensore del contenuto stesso). Speriamo che i lettori le trovino sufficientemente spiritose anche nel senso figurato del termine.

La serie s’intitola Tonici e cordiali: un altro Giro di storie ed è un invito a fermarsi lungo le strade del Giro che va ad incominciare per degustare un bicchierino della pressoché smisurata produzione italiana di liquori, amari, distillati e vini aromatizzati, dietro al quale, quasi sempre, ci sono curiose storie da raccontare. Qualche volta, proprio come facevano questi bravi alchimisti del gusto alcolico, le aromatizzeremo con storie di ruote e pedivelle, scoprendo che il ciclismo, per fortuna, non ha frequentato soltanto le farmacopee ma anche le distillerie. Insomma, seguiremo il consiglio di un noto avvocato di Asti, solito mandare in fuga le sue canzoni, che invitava il Diavolo rosso, ovvero il terribile Giovanni Gerbi, astigiano anche lui ed eroe ciclistico dell’età pionieristica delle due ruote. Per un momento, allora, dimenticheremo anche noi la strada del Giro e andremo lì a bere qualcosa di un po’ più alcolico e tonificante di un’aranciata. Perché andare di fretta sapendo che tanto "controluce tutto il tempo se ne va"?

Dunque, ritorniamo a Torino, piazza della Fiera, 1786. Antonio Benedetto Carpano era nato trentacinque anni prima a Bioglio, un villaggio sulle colline a nord-est di Biella, ed era aiutante di bottega da monsù Marendazzo. Dalle sue valli prealpine, Carpano aveva portato con sé la sapienza di conoscere erbe e piante aromatiche, come da secoli facevano nei loro erbari i monaci distillatori, e iniziò a sperimentare le misture di macerazioni alcoliche di queste essenze con il vino moscato.

La pratica di aromatizzare il vino era conosciuta vin dall’antichità: dicono che già Ippocrate, nella Grecia del IV secolo a.C., avesse sperimentato l’efficacia tonificante e digestive del vino aromatizzato a base di artemisia e dittamo, tanto che dal Medioevo in poi i vini aromatici presero il nome di “vini ippocratici” o “vini d’assenzio”. Alla fine del Seicento, un medico bolognese, Leonardo Fioravanti, così ne decantava le virtù: "Facilita la digestione, pulisce il sangue, dà un buon sonno e un colore sano alla pelle. L’amaro eccita le funzioni biliari, riconforta il fegato, fa lavorare meglio le reni e rallegra il cuore".

Insomma, Carpano non è che inventò niente di nuovo, ma ebbe la felice intuizione, per andare incontro alle esigenze di palati più raffinati, e in particolare di quelli delle dame di corte di cui, la liquoreria Marendazzo era praticamente dirimpettaia. Per ingentilire la lavorazione scelse il dolce e profumato moscato di Canelli utilizzato come base. Quando si trattò di scegliere il nome, Carpano pensò al suo amato Goethe – dicono che l’erborista fosse una persona colta con il debole per la poesia – e scelse una parola tedesca: Wermut che significa assenzio, ovvero l’Artemisia absinthum, l’erba che dona alla bevanda quell’inconfondibile nota di amaro. Francesizzata, la parola divenne Vermouth, o più semplicemente Vermut (vèrmot, in piemontese).

Il successo fu immediato. Marendazzo e Carpano fecero fare arrivare delle bottiglie della loro nuova bevanda a Castello, espressamente indirizzate a Vittorio Amedeo III, re di Sardegna – non stiamo qui a spiegare perché all’epoca il sovrano torinese e sabaudo avesse in capo una corona sarda, che non basterebbero tutte le tappe del Giro per raccontarlo… . La moda del Vermouth scoppiò a Torino e, da lì, conquistò l’Italia (quando l’Italia diventò Italia…).

Come ogni produttore che si rispetti, la miscela di piante ed erbe, pestate o macinate, e poi macerate a freddo in alcol, che viene aggiunta al vino non venne mai rivelata da Antonio Benedetto Carpano. Si sa che sono una trentina che, a nominarle tutte, ci sentiamo molto Adriano De Zan che recita come un rosario i nomi che dei corridori che tagliano il traguardo in una volata di gruppo: achillea, cannella, angelica, cardamomo, anice stellato, calamo aromatico, camedrio, marrobio, lingua cervina, cassia, noce moscata, fave tonka, centaurea minore, zedoaria, salvia, legno quassio, genziana, cardo santo, fiori di rosa, issopo, maggiorana, tanaceto, chiodi di garofano, coriandolo, timo, polmonaria, rabarbaro, dittamo, gomma dragante, zenzero, iride fiorentina, sambuco, vaniglia, zafferano, giaggiolo…

A seguire le orme di Carpano, furono molti altri liquoristi e distillatori torinesi, tanto che il Vermut, per la precisione il Vermut di Torino, dal 2017 è stato riconosciuto come prodotto a indicazione geografica registrata e lo scorso febbraio, al Museo del Risorgimento, si è tenuta la prima edizione del Salone del Vermouth.

Rilevata dal Marandazzo la gestione della bottega, Carpano e poi i suoi eredi per generazioni trasformarono quell’invenzione in una vera e propria impresa, che anche quando divenne, a fine Ottocento, di dimensioni industriali mantenne sempre quell’identità di autenticità artigianale. Nel secondo dopoguerra del Novecento, dopo che già il marchio, estintasi la linea ereditaria della famiglia Carpano, da anni era passato a nuovi proprietari, la Carpano, con una felice intuizione pubblicitaria si lega al ciclismo. Sono gli anni in cui le squadre ciclistiche si abbinano a marchi extra-settore e, grazie soprattutto alla passione e competenza di Vincenzo Giacotto, grande direttore sportivo torinese, la Carpano nel 1956 allestisce la sua prima formazione professionistica, legando il suo nome a Fausto Coppi. Il Campionissimo, infatti, aveva lasciato la Bianchi e aveva costituito un proprio team unendo il proprio nome al marchio dello storico produttore di Vermouth. Il binomio non ebbe molta fortuna – Coppi era un campione ormai declinante – e si sciolse dopo solo un biennio.

Col solo nome di Carpano, la squadra continuò, dal bianco passò al bianconero e ottenne numerosi successi. A Giacotto si affiancò dal 1960 Ettore Milano, storico gregario di Coppi, e arrivano prestigiose vittorie grazie a campioni stranieri come Fred De Bruyne (Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix nel 1957 e Liegi-Bastogne-Liegi nel 1958) e Germain Derycke (Giro delle Fiandre 1958) e a campioni italiani (numerose vittorie di tappa al Giro e al Tour con Gastone Nencini, Pietro Nascimbene, Antonio Bailetti, Vendramino Bariviera, Giuseppe Sartore).  A siglare i successi più significativi in maglia Carpano, furono però, e non a caso, campioni torinesi: Nino De Filippis, vincitore del Giro di Lombardia nel 1958, del Campionato italiano nel 1960 e di cinque tappe al Giro; un giovanissimo Italo Zilioli che tra il 1962 e il 1964, con una impressionante serie di vittorie in corse nazionali – e un secondo posto al Giro del 1964 - illuse molti appassionati che un nuovo Coppi era all’orizzonte; e, soprattutto, Franco Balmamion, sorprendente vincitore del Giro d’Italia nel 1962 e nel 1963.

La Carpano lasciò la sponsorizzazione ciclistica nel 1964, dopo un decennio ricco di celebrità e vittorie. Antonio Benedetto, 170 anni prima, non l’avrebbe mai pensato di mettere in sella il suo vino aromatizzato all’artemisia. È un po’ anche grazie a lui se oggi a Torino brindiamo al Giro alzando un calice di vermouth.

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