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La fuffa su De Rossi e la caccia ai cattivi tifosi

Jack O'Malley

L’amore tra l'ex centrocampista della Roma e il Boca Juniors è già finito. L’educazione del popolo sui social prosegue a gonfie vele

[Anticipiamo un articolo del numero del Foglio Sportivo in edicola domani e domenica. L'edizione di sabato 19 e domenica 20 ottobre la potete scaricare qui dalle 23,30 di venerdì 18 ottobre]

  


 

Se c’è qualcuno da queste parti che vi aveva avvisati per tempo, quello sono io. Voi però avete questa diffidenza verso noi inglesi, e avete continuato imperterriti a raccontarvi la favola del campione al tramonto che, incompreso in patria come un profeta biblico, avrebbe ritrovato nuova linfa, vita e successi dall’altra parte del mondo, là dove in fondo non abitano che italiani un po’ più ruspanti e appassionati di grigliate e mate. Ci avevate detto che Daniele De Rossi era partito per l’Argentina pronto a conquistare Buenos Aires, la Bombonera e i cuori dei tifosi del Boca. Avete costretto i tifosi di calcio italiani a subire cronache atroci della traversata atlantica, dello sbarco in Sudamerica del barbuto ex capitano della Roma tra ali di folla impazzita (il vecchio trucco dell’inquadratura stretta funziona sempre, che sia un raduno di supporter di Italia Viva o un gruppetto di tifosi all’aeroporto). Avete raccontato come un’epifania il suo primo gol argentino nello stadio di casa, scordandovi di dire che in quella partita il Boca non giocava in casa e comunque aveva perso contro una squadra di Serie B (scoperti, vi siete affrettati a spiegare che “la sconfitta è arrivata dopo la sostituzione di DDR”). La distanza, la scarsità di fonti disponibili, il fatto che il campionato argentino è più noioso di una polemica su Cicciogamer e quindi nessuno lo segue se non dopo aver perso una scommessa, hanno permesso al giochino di reggere qualche mese. Quando la notizia è diventata “De Rossi fa la spesa al supermercato” anche i più polli avrebbero dovuto aprire gli occhi, capire che l’operazione “De Rossi al Boca Juniors” valeva quanto Boateng al Barcellona. Quando il River ha battuto 2-0 gli storici rivali nell’andata della semifinale di Copa Libertadores (il ritorno è mercoledì) il fatto che De Rossi non fosse neppure in panchina era una nota a fondo articolo, con la postilla “ma giocherà il ritorno” che faceva tanto sequel degli Avengers. Ora si scopre che De Rossi al Boca non lo vogliono più: troppi infortuni, poco impatto sul gioco della squadra, molte panchine. Finite la poesia e le cazzate alla Osvaldo Soriano, Danielino vuole tornare in Italia. E nelle redazioni già sono pronti a mesi di articoli per esaltare il ritorno a casa del Figliol Prodigo.

 

Forse almeno parlare di De Rossi toglierà un po’ di tempo all’indignazione permanente, alla caccia al razzista sui social, al licenziamento dei tifosi su Twitter. Che poi, la mia squadra può davvero impedirmi di tifarla perché scrivo bestialità su un social network? Poi cosa farà, controllerà se ho pagato le tasse, se non guido dopo avere bevuto una pinta di troppo, se non fumo, se non alzo la voce con gli amici al pub? Adesso la grande emergenza è il razzismo, e siamo tutti d’accordo, ci sentiamo più protetti e nel giusto quando blocchiamo un fascista su Twitter, segnaliamo un nazista su Facebook e l’account della nostra squadra del cuore twitta con l’hashtag che piace a tutti. Siamo sicuri che quando l’emergenza sarà un’altra, avere demandato al calcio l’educazione corretta del popolo sarà stata la scelta giusta?

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