Ferrari, la festa deve continuare

Umberto Zapelloni

I 90 anni della Rossa, la vittoria ritrovata, il golpe di Leclerc. Perché il GP di Monza sarà uno spettacolo

La Ferrari gioca sempre in casa. Non c’è Gran Premio in giro per il mondo in cui la maggior parte dei tifosi non sventoli una bandiera della Scuderia che sta festeggiando i 90 anni di vita. Ma solo a Monza, nel Gran Premio d’Italia che domani spegnerà le candeline della sua novantesima edizione, c’è un grande cuore ad attenderla sotto al podio, lo stesso cuore che l’altro giorno ha colorato Piazza del Duomo a Milano.

 


Foto LaPresse


  

Un podio che, da quando si corre il Mondiale di Formula 1, i piloti di Maranello hanno frequentato 68 volte, 20 guardando tutti dal gradino più alto. Una storia cominciata addirittura prima della Ferrari stessa, nata nel 1947, perché la Scuderia Ferrari creata per far correre le Alfa Romeo, aveva iniziato a vincere a Monza molto prima, addirittura nel 1933 con Luigi Fagioli. Per Enzo Ferrari, Monza ha sempre significato qualcosa di particolare, l’occasione per far debuttare una nuova auto, un nuovo motore, annunciare la squadra dell’anno successivo. Un appuntamento per salvare la stagione, ma quattro volte il Gran premio d’Italia si è trasformato anche nel teatro per festeggiare un titolo mondiale. È stato così con Fangio, Phil Hill, Niki Lauda e Jody Scheckter. L’ultima è stata nel 1979 e Jody Scheckter, che oggi produce cibi e vini biologici in Inghilterra, in questo weekend girerà in pista con la sua 312T4, gioiellino progettato da Mauro Forghieri.

  

C’è aria di festa attorno alla Ferrari, non solo per il compleanno con tanto di bagno di folla e overdose d’amore e nonostante anche quest’anno il Mondiale se ne sia andato con grande anticipo. L’anno scorso il Gp d’Italia fu lo spartiacque della stagione. Arrivato a Monza con il campionato ancora a portata di mano, Vettel se ne tornò a casa lontanissimo in classifica, battuto in pista e non protetto dal team alla partenza in cui andò in onda il suicidio con Raikkonen.

 

 

Allora la Ferrari era arrivata qui dopo una vittoria a Spa. Come quest’anno, anche se questa volta è stato il primo successo di una stagione trasformatasi subito in un Tourmalet. Monza però è ancora uno spartiacque, questa volta per la storia della Scuderia. Se dovesse vincere un’altra volta Charles Leclerc, il baby che ha ringiovanito l’albo d’oro di Maranello, diventando il vincitore più verde della storia della Casa, il ribaltone sarebbe inevitabilmente completo. Si prenderebbe lui le chiavi della Ferrari, diventerebbe lui l’uomo del futuro in barba all’esperienza, al pedigree e anche all’ingaggio infinitamente superiore di Sebastian Vettel. Sarebbe la vittoria della svolta, non per rimettersi a caccia di un campionato saldamente in mano a Lewis Hamilton (ha 99 punti di vantaggio sul ferrarista più vicino), ma per il significato che si porterebbe dietro. Sarebbe il colpo del ko, lo sacco matto al quattro volte campione del mondo tedesco già ridotto nella campagna delle Ardenne a travestirsi da gregario, da un Bottas qualsiasi.

Il popolo rosso che l’altro giorno ha colorato e riempito di passione Piazza del Duomo attorno ai gioielli di Maranello e agli uomini che ne hanno scritto la storia, con uno show che ha trasmesso solo emozioni positive, non ha fatto scelto di cuore. Ha osannato il vecchio e il bambino, il campione e il predestinato. Il ferrarista ha così voglia di tornare a vincere che non può fare calcoli, non può scegliere. Gli basta vincere. Certo, il fascino di quel ragazzo nato non ricco nel Principato dei ricconi, con la sua faccia pulita, la sua parlata educata, ha già conquistato tutti. Bruciato Alonso come un tempo era stato bruciato Prost, Vettel è destinato allo stesso rogo se non uscirà da tunnel in cui guida a fari spenti da un anno. Attorno a sé non ha più soltanto il velluto che lo aveva accolto a Maranello nel 2015, comincia a sentire la carta vetrata che si porta dietro un compagno giovane, arrembante, educatamente sfrontato.

 


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Leclerc è già andato oltre quello che in Ferrari si aspettavano. È cresciuto nella comprensione della Sf90, nel lavoro con gli ingegneri, nei rapporti all’interno di un team dove ha avuto l’effetto di una di quelle caramelle alla menta della pubblicità in tv. Se a Monza dovesse mettere in atto la seconda parte del suo personalissimo golpe i giochi o sarebbero completi. Per questo il 90esimo Gran premio d’Italia ha un sapore e un significato particolare. Anche senza assegnare un Mondiale (ormai con un calendario extra large sarà praticamente impossibile veder finire qui un campionato) può diventare un momento indimenticabile. Come quando nel 1966 vinse Scarfiotti, l’ultimo italiano. O nel 1988, il primo dopo la morte di Enzo Ferrari, Berger e Alboreto confezionarono una magica doppietta. O ancora nel 2000 quando Michael Schumacher pianse in sala stampa dopo aver ribaltato l’inerzia di un Mondiale che gli stava scappando via. L’ultima Monza colorata di rosso è ormai del 2010. L’anno scorso, dopo il giro record di Raikkonen a 263,587 chilometri orari di media, fu un disastro. C’è un cuore rosso da far galleggiare sul mare di tifosi che si riverserà sotto il podio. C’è una festa da proseguire non solo per spegnere 90 candeline.