La Ferrari di Vettel durante i test di Barcellona (foto LaPresse)

Idee per una Formula 1 “allenante”

Fabio Tavelli

Tra due settimane inizia il Mondiale. A che punto sono le scuderie dopo i (troppo brevi) test di Barcellona 

[Questo articolo è stato pubblicato nel Foglio Sportivo in edicola sabato 2 e domenica 3 marzo con il Foglio del weekend. Potete leggerlo qui]

 


 

Ci sono sport dove ci si interroga se il campionato sia più o meno “allenante”. E poi c’è la Formula 1, dove allenarsi è vietato, ridotto a poche giornate all’anno in un calendario che prevede solo prove libere, qualifiche e gare. In realtà è previsto l’allenamento virtuale, la simulazione. Non dovrebbe essere così trascurabile testare tecnologie e riflessi dei piloti. Niente. Otto giorni a Barcellona, finiti venerdì 1 marzo, due in Bahrein in aprile, altri due in Spagna a maggio e poi dopo l’ultimo GP di Abu Dhabi, quando ormai però tutti saranno in vacanza. Non è un po’ poco? Sì, lo è. Ma per provare bisogna spendere un sacco di soldi e il contenimento dei costi ha imposto la cura dimagrante anche al mondo delle quattro ruote scoperte. Con la facile conseguenza che i top team sono sempre più forti e gli altri restano sempre più indietro.

 

La pietra angolare fu un giorno di settembre nel 2008 quando il mondo finanziario, e purtroppo non solo, vide gente che usciva con gli scatoloni in mano da uffici griffati Lehman Brothers. Alla tempesta sui mercati si unì l’inasprirsi di una forte crisi economica mondiale che suggerì ad alcuni costruttori (Toyota, Bmw e Honda) di ridurre drasticamente i propri impegni nel Motorsport e a tutti gli altri di cominciare a fare meglio i conti. La prima decisione fu di eliminare la libertà di effettuare i test, che possiamo stimare avessero un costo di qualche centinaia di euro per km percorso. La botta fu fortissima soprattutto per la Ferrari. Prima di Lehman al Cavallino avevano una squadra solo per i test, capitanata da Luigi Mazzola. Non era raro che contemporaneamente Schumacher fosse a Barcellona per provare assetti e gomme, Barrichello al Mugello alle prese con l’aerodinamica e Badoer a Fiorano con i freni. Milioni di dati che affluivano al quartier generale, dopodiché preparare una vettura al limite della perfezione era quasi una conseguenza logica. La Ferrari poteva permetterselo anche perché due autodromi erano e sono ancora di proprietà, e girare con totale libertà senza pagare l’affitto era, e sarebbe oggi a maggior ragione, un vantaggio competitivo decisivo.

 

E’ un caso che dal 2009 la Rossa non abbia più vinto un Mondiale (2007 piloti con Kimi, 2008 costruttori)? Pare di no. Ma perché l’allora boss della Rossa, Montezemolo, accettò una decisione del genere senza mettersi di traverso? Quel che è certo è che allora c’era una squadra-test composta da un centinaio di persone che lavoravano solo lontano dai circuiti ufficiali, con un budget che oscillava tra i 5 e i 10 milioni di euro. Oggi? Paradossalmente la cifra sarebbe inferiore. Il motivo è semplice. La tecnologia ha molto migliorato l’affidabilità di motori e cambi, due tra le più pesanti voci di costo, e quindi questi elementi possono essere utilizzati per un numero enormemente superiore di km. In regime di test ridotti e contingentati le scuderie lavorano quasi esclusivamente al simulatore. Attenzione, non stiamo parlando di videogiochi, dove per altro la similitudine con la realtà ha toccato livelli altissimi. Un simulatore assomiglia a un’astronave e può costare tra 500 mila e un milione di euro. Oltre naturalmente ai costi di manutenzione e revisione. I banchi dinamici sono strumenti vitali per l’ottimizzazione dei processi di ricarica e attivazione dell’energia ibrida delle nuove power unit durante le fasi di frenata e accelerazione. E’ facile prevedere che certe vetture abbiano completato qualche migliaia di km al banco prima dei test collettivi. I simulatori usano un motore matematico che riproduce il comportamento dinamico della vettura con tanto di mappe aerodinamiche. Permette di provare una sequenza infinita di set-up senza dover produrre parti fisiche. Quelli migliori utilizzano piattaforme dinamiche in grado di simulare beccheggio, imbardata e varie accelerazioni, verticali, laterali e longitudinali, proprio come i simulatori degli aerei.

 

Quando i piloti ufficiali scendono in pista, in azienda i piloti dedicati allo sviluppo provano gli stessi settaggi e suggeriscono modifiche in tempo reale alle squadre. La Ferrari ha assunto un pilota come Pascal Wehrlein, 40 GP disputati e un passato recente di grandi speranze, per lavorare solo nella realtà virtuale che riproduce quel che Vettel e Leclerc troveranno poi in pista. Non che i due titolari non passino le loro brave ore al simulatore. “Too boring”, lo definiva il vecchio tradizionalista Kimi. Salvo poi adattarsi anche lui ai tempi che cambiano e mettersi di buon grado a pensare di essere a 300km/h stando di fatto fermo.

 

Ma se il computer garantisce fino al 90 per cento delle caratteristiche della vettura allora non varrebbe la pena simulare e basta? No, perché quello che la tecnologia non può rendere fino in fondo a tavolino sono le sensazioni che ti dà una macchina vera. La pista consente anche di allenare meglio i piloti e lo stesso vale per meccanici, tecnici e ingegneri. Insomma, è la differenza che passa tra la carne e YouPorn, fermo restando che una pratica non esclude l’altra. Sommessamente suggeriremmo a Liberty Media una piccola-grande deroga. I piccoli team dal quasi azzeramento dei test ci hanno perso in modo evidente. La differenza tra le prime tre, Mercedes-Ferrari-Red Bull, nell’èra ibrida è una montagna troppo alta da scalare per gli altri. Che, come molte squadre della serie A di calcio, si sono ridotte a correre solo per il 4° posto. Come aiutare la classe media? Imparando dalla Nba. Chi arriva indietro accumula gettoni che può spendere in test che vengono finanziati da una cassa comune. Non dovrebbe essere difficile. A chi conviene che la Williams, per altro scuderia storica, prenda tre secondi a giro e costringa i suoi piloti a guardare solo nel retrovisore per scansarsi quando vengono doppiati e triplati da tutti? Meglio che ognuno versi una quota, con meccanismo progressivo in base ai punti conquistati, e si dica agli ultimi non che saranno biblicamente i primi. Ma che almeno potranno sperare di andar meno piano.