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Quello di Serena Williams è molto più che tennis

Giorgia Mecca

L’ex numero 1 al mondo finalista a Wimbledon e gli altri “vecchi” che non vogliono mollare

È per la vacca grassa e tutti gli insulti che le sono rimasti addosso, per gli sguardi degli altri che non ammirano mai il suo modo di colpire il rovescio ma giudicano il fondoschiena, sempre. E’ per le racchette spaccate, i racket abuse, le multe e le parolacce. E’ perché quando quelle come lei gridano al razzismo sanno di cosa stanno parlando. E’ per la finale degli Us Open contro Naomi Osaka, le urla, la furia in mondovisione e la terapia a cui si è sottoposta per provare a superare anche quell’umiliazione. La rabbia ha senso soltanto per i vincitori, per tutti gli altri è inutile violenza, una disperata manifestazione di inferiorità.

 

Serena Williams è di nuovo in finale a Wimbledon, per l’undicesima volta, a diciassette anni dalla sua prima vittoria sul Central Court. Oggi sfiderà Simona Halep per provare a raggiungere Margaret Smith a quota ventiquattro titoli dello Slam. Senza ammetterlo mai per scaramanzia, rimane in campo per questo, con un completino bianco che le scopre la pancia perché non c’è proprio niente da nascondere in quel corpo.

 

La tennista statunitense compirà trentotto anni tra due mesi e continua a essere la costante di uno sport senza punti di riferimento. A parte le due vittorie consecutive in uno Slam di Naomi Osaka (che a Wimbledon ha perso al primo turno), negli ultimi due anni il tennis femminile ha cambiato padrona sette volte in otto Slam. Quest’anno, come l’anno scorso, l’avversaria da battere continua a essere Serena, che in campo soffre, ruggisce, si batte le mani nel petto, cade e si rialza sempre. Si è presentata sull’erba di Londra in condizioni fisiche precarie, nessuno, nemmeno lei, poteva prevedere come avrebbero reagito le sue gambe ai rimbalzi sull’erba. Ma non è solo tennis, il suo è soprattutto orgoglio, sono muscoli stanchi che forse non ne possono più ma sul match point trovano ancora la forza di tirare fuori un rovescio incrociato tecnicamente perfetto. Cenere del passato che vale nel presente. Le avversarie, con i suoi poster in cameretta, rimangono a guardare. Dall’altra parte del tabellone, tra gli uomini, accade lo stesso. Anche quest’anno tra i vincitori ci sarà uno tra Djokovic, Federer e Nadal, tutti felicemente over 30. L’ultima volta che in un major ha trionfato un nome che non fosse il loro è stato agli Us Open del 2016, con Stan Wawrinka. Per il resto, dal 2003, cinquantatré titoli del Grande Slam tutti divisi tra loro tre. E Tsitsipas, Zverev e Thiem? Tutti fuori al primo turno. Il tennista greco ha ammesso di essere disperato; “la mia fiducia in questo momento è sotto zero”, ha dichiarato Alexander Zverev, con le lacrime agli occhi. Sono giovani, belli e malconci; Judy Murray, la mamma di Andy, ha dato la colpa della loro fragilità agli smartphone e alle distrazioni da social network. Nole e i suoi coetanei ringraziano. Il grande avvenire del tennis continua a essere sulle spalle dei giganti. Con una luminosa eccezione, Coco Gauff, la quindicenne statunitense che al primo turno ha battuto Venus Williams e che prima di stringerle la mano ha voluto ringraziarla per tutto quello che lei e sua sorella hanno fatto per il tennis afroamericano. E’ anche per questo che Serena continua a giocare.

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