La Spagna di Hierro e l'impossibilità di una nuova Democrazia Corinthiana

Giovanni Battistuzzi

Julen Lopetegui è stato esonerato a due giorni dal debutto mondiale con il Portogallo dopo aver annunciato l'accordo con il Real Madrid. La panchina è stata affidata all'ex capitano del Real Madrid

Lopetegui chi? Ieri a più di un tifoso del Real Madrid era venuto il dubbio di non aver letto bene il trafiletto sul sito del club. Perché Julen Lopetegui non era proprio il primo nome sulla lista dei candidati alla successione di Zinedine Zidane. Certo al Real era stato di casa, prima nelle giovanili, poi in prima squadra, infine alla guida del Castilla, la squadra B dei Blancos, ma era stato un decennio fa. Un portiere senza lode e senza infamia, un tecnico che dicevano di talento, ma non un visionario, uno che aveva fatto carriera in federazione. Un selezionatore più che un allenatore. La sua Under 21 era uno spettacolo da vedere, un po' meno il suo Porto: una stagione e mezzo e nemmeno un trofeo, che a quella latitudine del Portogallo vuol dire soltanto fallimento. Era tornato in Spagna, l'avevano messo a guidare la nazionale, perché il credito passato era comunque tanto e i ricordi comunque vincenti. Doveva essere il Mondiale della maturità per il basco. Non lo sarà, perché questa Coppa del Mondo se la guarderà da casa. Esonerato prima ancora di iniziare, a due giorni da Spagna-Portogallo, che è derby per tutti, soprattutto per lui, che a Oporto considerano un bollito e che a Lisbona, l'altra faccia del calcio lusitano, invece amano per essere riuscito a non far vincere i biancoblu. Al basco subentra Fernando Hierro, bandiera del calcio madrileno, ct inventato su due piedi per rimediare alla confusione di un selezionatore che prima ancora di iniziare la Coppa del Mondo "tradisce" un paese per una camiseta blanca.

 

"Siamo stati informati della trattativa tra il Real Madrid e Lopetegui appena 5 minuti prima che fosse resa pubblica", ha detto Luis Rubiales, il presidente federale spagnolo, visibilmente infastidito, quasi arrabbiato per come si sono messe le cose. "Ho chiesto di ritardare l’annuncio ma non sono stato ascoltato. Julen ha tutto il diritto di trattare con un club, ma non possiamo far finta di niente: il modo di fare le cose è fondamentale e sono sicuro che lo stesso Lopetegui avrebbe preferito una gestione molto diversa. Non è colpa sua, ma noi non potevamo fare altrimenti. È una decisione dolorosa, che condiziona ovvio, ma non avevamo scelta".

 

Quindi ora Lopetegui se ne torna a casa, e pure con una certa infamia. Perché certe cose non si fanno, o si gestiscono meglio. Ché viene normale avere sospetti su voci di mercato riguardo a giovani giocatori nazionali prima vicini al Barcellona e poi, d'un tratto, diretti verso Madrid. Questo è il calcio, una grande sagra paesana soprattutto quando si è in clima di calciomercato.

 

Quindi Lopetegui se ne torna a casa e lascia un bel problema alla Federazione. Perché Fernando Hierro, il nuovo ct, ha un passato eccellente da calciatore e poca esperienza su di una panchina. E così una Nazionale che ha un Mondiale da affrontare da mina vagante, potrebbe ritrovarsi già esplosa prima di scendere in campo.

  

E ancora una volta il sogno di una soluzione diversa, quella che in molti auspicavano, ma che nessuno, forse, ha veramente preso in considerazione, è svanito. Nessuna rivoluzione, nessun ritorno a un sogno d'oltreoceano, ché tanto non si vedeva da decenni una cosa simile, ché tanto quello era sogno rivoluzionario che dal Brasile partì per non atterrare mai altrove. Quello Democrazia Corinthiana che destituì l'allenatore Mário Travaglini, per affidarsi al carisma di Sócrates, Wladimir e Casagrande e instaurare l'autogestione. Chi va in campo, chi in panchina e chi in tribuna lo decidono gli stessi giocatori. "Siamo noi che giochiamo, siamo noi i migliori conoscitori di noi stessi. L'allenatore è un'autorità inutile". Era il 1982 e il Corinthians divenne il simbolo della democrazia diretta applicata al calcio. Vinsero due campionati paulista, fallendo però due volte l'assalto al Brasilerao, il massimo livello del campionato brasiliano di calcio.

  

Disse Socrates che "per tradizione, il calcio brasiliano è un mezzo retrogrado e paternalistico. Aggrappati al potere, i dirigenti di club e federazioni cercano di alienare i giocatori e trattarli come schiavi. (...) In un paese come il Brasile, il giocatore è difficilmente trattato come professionista e cittadino, con libertà e responsabilità". Quindi "viva la libertà e il Corinthians libero", almeno sino a quando si vinceva. Perché poi arrivò il 1984 e le sconfitte. E quando nessuno fa da parafulmine per prendersi il peso delle scoppole allora si inizia a litigare e tutta la democrazia tanto sbandierata crolla, diventa oligarchia, o peggio, un regime. Socrates e Casagrande salutarono attratti dall'Europa e il Corinthians riabbracciò Mário Travaglini.

 

Per anni si è discusso di quanto fantastica e straordinaria fosse la Democrazia Corinthiana, specie in Spagna, dove il fascino dell'esotismo brasiliano è ancora vivo. Ora è la volta buona. Sempre che Sergio Ramos e compagnia abbiano davvero voglia di essere prova o controprova di una storia che come era nata era finita. "Un utopia talmente bella da diventare un modello irrealizzabile e, anche, una buona idea commerciale", disse il sociologo carioca Emir Sader.