Basta pagliacci
Londra. C’è una parte di me che considera calcisticamente perfetta una partita in cui la tattica annulla le emozioni, gli schemi imbrigliano la fantasia e il compito eseguito alla perfezione dai giocatori impedisce ogni sorpresa. Ma quella parte di me sa anche che se il calcio fosse questa cosa qui allora i palazzetti delle sfide di scacchi sarebbero pieni. Invece non se li caga nessuno, gli scacchisti, se non quando giocano contro i computer in sfide dal sapore di Guerra Fredda. Nel calcio per fortuna esiste una componente decisiva anche in casi come quello: è tonda, divisa in due, rosa e con un buco in mezzo. Si chiama culo, ma spesso prende la forma di altre parti del corpo. Una deviazione di ginocchio mi ha svegliato dal torpore sabato sera, dopo 88 minuti osceni di calcio tra quelle che dovrebbero essere le due migliori squadre della serie A. Ma nel calcio il culo bacia i più solidi, e ai meno soliti non resta che baciare il culo agli avversari: la Juventus è prima, e a questo punto ha enormi possibilità di battere quella banda di infortunati gravi e senza allenatore del Bayern Monaco in Champions League.
Per riprendermi dalla noia pachidermica che mi ha afflitto durante Juve-Napoli, il giorno dopo ho pasteggiato a brandy e Arsenal-Leicester: anche in Premier League si scontravano la prima e la seconda squadra in classifica, ma invece di assistere a una pallosissima sfida a fissarsi negli occhi e vedere chi ride prima, ho visto 90’ di calcio come Dio comanda. Certo, probabilmente entrambe onoreranno il dna dei loro allenatori e finiranno seconde, ma vuoi mettere le occasioni da gol, i contropiede, i salvataggi e le emozioni della sfida all’Emirates rispetto al grigiore dello Stadium? Vuoi mettere la gioia, poi? Se di là il panchinaro Zaza ha non esultato come suo solito (non porta bene, l’altro pagliaccio che fa così è Balotelli, che ormai può esultare al massimo contro l’Alessandria), di qua il panchinaro Welbeck ha dato il via a un’orgia clamorosa tra il pubblico in delirio: dopo il gol vittoria siglato di testa al 94’ l’ex attaccante del Manchester United si è lanciato sui Gooners come una rockstar degli anni Settanta. Giusto così.
Onore a Claudio Ranieri, che cavalca la retorica senza sbrodolare: per lui la sfida di domenica non era la sfida tra la prima e la seconda del campionato, ma la dimostrazione che il duro lavoro e la passione possono arrivare dove i soldi non possono. Diabete a parte, è una storia bellissima. Che purtroppo durerà poco. E a proposito di United, la squadra di Van Gaal è sempre più la triste caricatura di quella allenata da Moyes. Da queste parti si dice che l’olandese non finirà la stagione, e che Mourinho sia già pronto a entrare a gamba tesa nello spogliatoio. Se la storia nel calcio ha un senso, non sarà neppure Mourinho a riportare lo United ai fasti di un tempo. Prima di trovare Ferguson dalle parti dell’Old Trafford sono passati lunghi anni di amare delusioni.
Natalie Weber ha seguito con attenzione Fiorentina-Inter domenica sera. Qui la vediamo rammaricarsi dopo l’ingiusta espulsione di suo marito, Mauro Zarate
[**Video_box_2**]Vi ricordate quando nel campetto della scuola per umiliare gli avversari, di solito più piccoli e allocchi, si fermava la palla sulla linea della porta avversaria e poi si segnava di testa? Non ve lo ricordate? E’ per rinfrescare la memoria su certe piccinerie che esiste il Barcellona. Facebook, l’arbitro che distingue ciò che si può dire dall’incitamento all’odio, dovrebbe oscurare l’inverecondo video del rigore di seconda fra Messi e Suárez, dovrebbe equipararlo al bullismo, giudicarlo peggiore dell’omofobia, perché una pagliacciata del genere non ha altro scopo se non quello di umiliare, irritare, annichilire, schernire, deridere gli avversari e, incidentalmente, ridurre i tifosi al rango di pubblico, pura utenza senza cuore. Ci vorrebbe un emendamento ad hoc alla Cirinnà per punire le discriminazioni del Barcellona in modo più severo delle discriminazioni tout court. Tutto il resto è marketing, sono clic in Cina e rievocazioni storiche di Cruyff, e hanno ragione Bergomi e Vialli quando dicono che certe cose un tempo non si facevano. Non perché ci fossero i famosi “valori”, sovrana cazzata, ma perché in campo c’erano meno telecamere ed erano molto meno precise, e un buffonesco rigore del genere Suárez e Messi lo pagavano con i menischi, con i garretti, magari anche con le tibie, e poi nessuno andava a lamentarsi con i giornalisti: “Mi ha detto frocio!”. La cosa stupefacente, comunque, è che Messi e Suárez l’hanno pensata. Ci sarà stato un giorno, sul campo di allenamento, in cui si sono detti: “Oh, proviamo un po’ sta vaccata per ammazzare la noia?”. E l’altro: “Stupendo, la prossima volta che giochiamo contro la solita banda di pellegrini la facciamo!”. E di bande di pellegrini la Liga sovrabbonda.
Così il Celta Vigo s’è trovato nell’immondo ruolo di cavia delle voglie di due campioni annoiati come rockstar, uno che sceglie che giacca mettersi per il prossimo Pallone d’oro e l’altro che morde gli avversari per avere qualcosa da raccontare al suo unico amico, lo psicanalista. Non capisco come non sia bandito dai censori della morale calcistica, quelli che hanno inventato qualunque puttanata pur di farci ingoiare la melassa del fair play. Ad esempio i bambini che tengono per mano i calciatori all’ingresso, che sono giovani sofferenti – spesso sovrappeso – costretti ad accompagnare quelli della squadra che odiano per reggere il teatrino. Vedo che in Olanda qualcuno ha fatto entrare con i giocatori delle modelle in tanga invece dei bambini. Fra un’eutanasia e un fungo allucinogeno, qualcosa di intelligente è scappato perfino a loro.
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