J. Stiglitz - foto Ansa

a londra

A tu per tu con Stiglitz, l'anti Milei triste, in decadenza e senza più argomenti

L'ex premio Nobel della finanza speculativa oggi è poco più che un politico, con idee confuse sul neo-liberismo. Il discorso fatto alla Royal Overseas lo testimonia 

Quando il super economista Joseph Stiglitz entra nella sala del Royal Overseas, uno dei tanti gentlemen’s club di St.James’s, il cuore della Londra aristocratica e monarchica, l’attesa per le parole di un mostro sacro dell’economia è palpabile nell’aria. Ma quello che ha da dire stona molto con il paese dove è venuto a parlare e lascerà molti delusi. Il Premio Nobel del’Economia nel 2001, per la teoria sulle Asimmetrie Informative, rivelatasi profetica ma che 20 anni era solo lunare, ha il viso rotondo e gli occhi vispi di chi ha la battura pronta. E infatti non lesina arguzia e ironia mentre sciorina la sua nuova visione del mondo che sintetizza con un paragone a prima vista efficace e semplice: il semaforo. Frena, ma è utile e anzi alla fine consente a tutti di essere più liberi. Il Neo-Liberismo, invece, non vuole semafori per niente.

Il risultato è il caos: “Oggi abbiamo un mondo dove le libertà di una elite sono a spese di quelle di altri. Per avere più libertà, ci vogliono più regole. La deregulation e il libero mercato hanno fallito” chiosa. Nonostante le centinaia di conferenze e i viaggi attorno al mondo, parla con un pesante accento americano, un po’ troppo yankee per i palati londinesi con il loro accento cockney e le labbra semichiuse a pronunciarlo. Il professore sfoggia un’enorme cultura, ma forse i suoi studi non lo hanno mai fatto imbattere in Giuliano l’Apostata. E’ un peccato, perché Stiglitz è un perfetto Apostata del Ventunesimo secolo, un epigono dell’imperatore romano che rifiutò il cristianesimo per convertirsi agli dei dell’Antica Roma: per anni, il Nobel è stato un aedo del capitalismo, a capo della Banca Mondiale, istituzione che incarna l’ortodossia  del libero mercato. Ma ora, folgorato al contrario sulla via della Columbia University (le cui immagini recenti dimostrano come ormai sia sempre meno accademia e più un covo di invasati di sinistra) ne è diventato un feroce critico. La rampogna contro il Capitalismo, nella sua versione del neo-liberismo, non è nemmeno una novità né così originale.

E dai tempi di Occupy Wall Street che – anche senza essere dei premiati dall’Accademia di Svezia – sono sorti dubbi sulla bontà del sistema. “Capitalism is broken” (il capitalismo è malato) è uno slogan comune, anche tra i più ferventi sostenitori del modello. La ricetta del professore per curarne le distorsioni, ed è qui che il pubblico aspetta una verità rivelatrice, lascia delusi: più regole. Venire a parlare di ridurre la libertà a chi ha teorizzato per primo, otto secoli fa, l’Habeas Corpus, nel paese delle libertà individuali sacre e inviolabili, è da eretici. Ci vuole coraggio intellettuale e Stiglitz ne ha, solo che la sua soluzione appare totalmente fuori fuoco e non solo per il DNA della sua platea. 

Mentre Stiglitz invoca meno libertà economiche, altre, e più sensibili, sono da tempo a rischio: i social sono il Grande Fratello dei Millennial, Apple o Google (entrambe americane peraltro) sanno dove siamo ogni secondo della giornata (grazie ai gps inclusi in ogni telefonino). La Cina è una già una minaccia per le libera dell’Occidente con la sua tentacolare e subdola conquista dell’Occidente. Dove sarebbe, dunque, questa troppa libertà che andrebbe frenata e limitata? Se il professore si riferisce a quella economica del Lassez-Faire ottocentesco, anche lì il vero pericolo è il contrario.


L’anno scorso la banca Coutts, che per decenni ha gestito i risparmi della Regina, ha chiuso i conti di Nigel Farage per le sue opinioni non allineate al pensiero dominante. L’uomo può piacere o meno, o anche per niente, ma congelare i risparmi personali, diritto tutelato anche dalla Costituzione in Italia, per motivi politici, è dittatura in purezza, il vero fascismo. E ancora: il Covid ha distorto l’economia con debiti pubblici di nuovo esplosi. Gli aiuti pubblici erano necessari, ma sono anche una zavorra che appesantirà in governi per i prossimi decenni. Insomma, il Leviatano è sempre dietro l’angolo, ma per Stiglitz ci vuole più Governo e meno individuo. La maggiore contraddizione dello Stiglitz Pensiero è che viene a  teorizzare più barriere a un continente che soffre dell’esatto opposto: l’iper-regolamentazione. Da diametro delle zucchine alla transizione verde, l’Europa è una gabbia di vincoli.

Il mondo ha trovato il suo Anti-Milei: il pentito del liberismo è un ironico Savonarola che vede in uno Stato paternalista la soluzione ai mali della società. Anche lui è ossessionato dalle diseguaglianze e dalle tasse. Per ridurre le prime, vorrebbe imporre le seconde: “Sono favorevole a una Minimum Wealth Tax” afferma. Il dubbio che a oggi tutti i prelievi di ricchezza privata per ridurre la povertà si siano rivelati fallimentari, non lo sfiora. Lui prosegue dritto: il Self Made Man, altro pilastro del libero mercato, è un falso storico. Nessuno si fa da solo perché comunque vive dentro uno Stato che gli ha offerto istruzione e sanità: i privati costruiscono le proprie fortune sul pubblico. Peccato che Stiglitz dimentichi come lo Stato Moderno (e a Londra ne sanno qualcosa, citofonare Oliver Cromwell e Thomas Hobbes) sia una creazione della borghesia mercantilista e individualista. E’ il frutto di un patto sociale dove gli optimates hanno deciso di rinunciare volontariamente a libertà personali, prima su tutte la sicurezza personale, per delegarle a un’entità superiore che ne abbia il monopolio. Proprio per permettere che il singolo aumenti il suo benessere. In un mondo, dalla Cina alla Russia, passando per le teocrazie islamiche del Medio Oriente, sempre più dominato da autoritarismi che di libertà hanno ben poco; di fronte agli oscurantismi, religiosi e non, che scuotono l’Occidente, la risposta dovrebbe essere più libertà, non meno. Il visionario che venti anni fa intuì uno degli snodi della finanza speculativa che sarebbe arrivata anni dopo, oggi non è più un economista, ma un politico, con una weltanchaaung manichea (e banalotta), da segretario di una sezione provinciale di Rifondazione Comunista: il privato è cattivo, il pubblico è buono. Francamente, uno si aspetterebbe di più e meglio.

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