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la riflessione

L'inquietudine dell'esistenza tra religione e innovazione

Sergio Belardinelli

La fede, unica variabile che tiene ancora uniti due aspetti fondamentali della nostra vita. Un cambiamento di prospettiva per intrecciare due concetti estremamente lontani ma allo stesso tempo molto vicini

Religione e innovazione sembrano appartenere a orizzonti concettuali incommensurabili. C’è tutta una storia che lo dimostrerebbe, precisamente la vicenda storica della modernità e della secolarizzazione. Ma forse è arrivato il momento di rivedere l’interpretazione di questa storia. La teoria tradizionale della secolarizzazione, si pensi a Max Weber, ha visto chiaramente la radice religiosa (cristiana) della grande innovazione culturale prodottasi in occidente con il progressivo autonomizzarsi rispetto alla religione dei diversi sistemi sociali, quali la politica, la scienza, il diritto, la morale, solo per citarne alcuni. Ma se questo è vero, allora proprio qui incontriamo un primo, indubitabile segno di concordanza tra religione e innovazione, nonostante che le interpretazioni dominanti abbiano fatto di tutto per occultarlo. Con qualche buona ragione, sia ben chiaro. La religione cristiana infatti, specialmente nella sua variante cattolica, ha faticato non poco a conciliarsi con l’autonomia dei suddetti sistemi sociali, diventando paradossalmente una forza a essi ostile. Questi ultimi, a loro volta, l’hanno ripagata con altrettanta ostilità, orientando contro di essa la loro autonomizzazione. Una vera e propria catastrofe per la cultura moderna, i cui effetti si riverberano ancora oggi sulla nostra vita politica e culturale, fino al punto che è diventato ormai quasi un luogo comune ritenere che più innovazione scientifico-tecnologica equivalga, tra le altre cose, anche a un maggiore restringimento della sfera d’influenza della religione, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale. In questo modo i due termini si sono estraniati sempre di più l’uno dall’altro: l’innovazione è diventata una prerogativa scientifico-tecnologico-politica, mentre la religione, ossia la principale condizione che ha reso possibile il differenziarsi di questi sistemi sociali e quindi il dispiegarsi del loro potenziale innovativo, si chiude sempre di più nei suoi dogmi e nella sua organizzazione, diventando l’ostacolo per eccellenza a qualsiasi tipo d’innovazione, in attesa della sua inevitabile estinzione.
 

Questo, diciamo così, il modo “classico” di raccontare la storia. Ma forse oggi si vanno dischiudendo altre possibilità, proprio grazie al progressivo allargarsi di una sfera, certamente amica dell’innovazione, ma che potrebbe esserlo anche per la religione: la sfera della contingenza. Niklas Luhmann, per fare un esempio, ci dice che la prestazione principale che la religione offre a una società altamente differenziata come la nostra è precisamente quella di radicalizzarne la contingenza, la contingenza di tutto ciò che è, mostrando nel contempo la contingenza del mondo nella sua interezza. Ma se le cose stanno così, allora anche l’innovazione finisce per avere nella religione una delle principali condizioni che la rendono possibile. Un esito forse imprevisto per l’odierna mentalità dominante, ma certamente da prendere molto sul serio.
 

Il fatto che la religione abbia perduto molta della sua rilevanza sociale, dopo che la scienza, la politica, la morale, l’arte si sono progressivamente emancipate dal suo controllo, ha indotto molti a interpretare tutto questo come una sconfitta della religione, destinata a svolgere un ruolo sempre più residuale, e magari come una vittoria della politica, libera di occupare l’intero spazio pubblico senza alcun intralcio religioso. Eppure, se ci guardiamo intorno, specialmente in Europa, dobbiamo forse convenire che in questa battaglia dell’una contro l’altra, nel tentativo di sostituirsi l’una all’altra, politica e religione hanno perso entrambe. La politica rischia infatti di diventare religione, e la religione oscilla tra il diventare un fatto puramente “privato” o la stampella confessionale del potere dello stato. Paradossalmente però, ritornando al nostro tema, difficilmente una politica sacralizzata potrebbe essere amica dell’innovazione. Lo stesso si potrebbe dire della scienza o della religione. La differenziazione della società non consente sacralizzazioni di sorta; chiede piuttosto a ciascun sistema sociale di poter operare liberamente secondo il proprio codice. Per rimanere amica dell’innovazione, includendo nella comprensione di sé quell’allargamento della contingenza di cui si è detto, nemmeno la religione può più comprendersi in termini sacrali. Nella logica della differenziazione funzionale, essa dovrebbe coltivare la propria organizzazione senza confessionalismi e concentrarsi soprattutto su Dio nonché sull’unico medium che in una società differenziata potrebbe renderla ancora generativa (innovativa) in senso ecclesiale e sociale: la fede. È la fede che “fa nuove tutte le cose”, il paradosso per eccellenza, ciò che riduce complessità e nel contempo l’aumenta. Se trascendenza/immanenza è il codice del sistema religioso, la contingenza e una certa inquietudine ne sono il suo tratto ontologico-esistenziale più vero. Soltanto chi si sente inquieto può stare ancora tranquillo.

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