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i dati

Cosa ci dicono i nuovi dati sul divorzio nel sud Italia? Storia di un boom in tre passaggi

Roberto Volpi

Nel 2007 il tasso di divorzialità – numero annuo di divorzi per mille abitanti – era al nord due volte quello del Mezzogiorno: poco più di 1 divorzio ogni mille abitanti contro 0,5 divorzi ogni mille abitanti. Ma da allora i divorzi sono cresciuti del 33 per cento al nord e del 150 per cento nel Mezzogiorno. Cos'è successo?

Certe mutazioni del costume, pur se quasi antropologiche, nel senso che investono il modo di essere profondo dell’uomo, restano nell’ombra, pressoché inesplorate, silenti. Finché non danno mostra di sé nei momenti e nei modi più impensati. Si prenda il divorzio. Chi ne parla più. Abbiamo dato, in analisi e interpretazioni. Ma forse non così compiutamente come crediamo.

Le serie Istat 2007-2022 impongono ulteriori riflessioni, che toccano appunto le corde profonde dell’essere italiani. Nel 2007 il tasso di divorzialità – numero annuo di divorzi per mille abitanti – era al nord due volte quello del Mezzogiorno: poco più di 1 divorzio ogni mille abitanti contro 0,5 divorzi ogni mille abitanti. Ma da allora i divorzi sono cresciuti del 33 per cento al nord e del 150 per cento nel Mezzogiorno, cosicché oggi abbiamo esattamente lo stesso tasso di divorzialità tanto al nord che al sud: 1,4 divorzi annui ogni mille abitanti. Né basta, perché come si dice nel calcio l’inerzia della partita è tutta a favore del sud, dove negli ultimi cinque anni c’è stato un aumento di divorzi del 7 per cento mentre al nord i divorzi sono diminuiti di quasi il 20 per cento, cosicché il sorpasso del primo sul secondo è letteralmente a un passo.

Ma cosa è successo, da ribaltare così profondamente un fenomeno, l’instabilità fino al divorzio del matrimonio, che appariva così segnato da una primazia settentrionale a prova di bomba?

Tutto è cambiato, non qualcosa, tutto. Almeno tre elementi di primissimo piano.

Primo elemento: è venuto meno anche nel Mezzogiorno quel che al Nord forse non c’è mai stato: lo stigma negativo che accompagnava divorzio e divorziati. Questo stigma ha retto in alcune regioni ancora fino a qualcosa come vent’anni fa, oggi è decisamente difficile rintracciarlo anche nelle aree più periferiche e povere del paese.

Secondo elemento: l’indebolimento valoriale del matrimonio religioso. Nel Mezzogiorno la proporzione dei matrimoni religiosi resta incomparabilmente più alta che al nord nella misura di 65 matrimoni religiosi ogni 100 matrimoni contro i neppure 30 del nord, ma il “per sempre” che gli sposi pronunciano nel rito religioso di fronte all’altare non ha fatto che diventare a mano a mano che avanzava il divorzio sempre meno convinto, più relativo, pronto a sconfinare nel ben più abbordabile “per il momento”.

E c’è infine un terzo elemento, forse il più inatteso perché adesso gioca, diversamente dal passato, a favore del Mezzogiorno nella sua impresa, se così possiamo definirla, di ricongiungimento a una divorzialità di livello non solo italiano ma europeo: il costo del divorzio in termini di contrazione del tenore di vita di entrambi gli ex coniugi e di prospettive di ritorno agli standard precedenti. Detto con la massima semplicità, e pure brutalità: è diventato assai più difficile far quadrare i conti di un divorzio in quel di Venezia o Torino che non a Bari o Palermo. Come te li permetti due appartamenti a Milano, se non hai i soldi? L’impresa è meno ardua a Napoli. O, almeno, lo è diventata.

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