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Com'eravamo innocenti

Rabbia, paura, amore. Superproust, catalogo di nuovi sentimenti del millennio 

Ester Viola

Produttori di progresso (noi) che però non hanno i nervi per stare dietro a quel progresso che inventano. Le nuove epoche ci sfiancano, così non reggeremo a lungo

Da “farmi una ragione che ci siamo lasciati guardando le storie Instagram della sua nuova relazione” a “mi sembra normale sapere tutto della vita degli altri”,  “le mie migliori amiche le vedo due volte all’anno e ci scriviamo tutti i giorni in chat, è amicizia lo stesso?” fino a “mio figlio adolescente mi chiede i farmaci bloccanti per la pubertà, cosa faccio?”.

Il clima da apocalisse perenne

E’ una mattina qualunque. La sveglia ha suonato. Sono le sette e il lavoratore medio è in pigiama, scorticato dall’insonnia. Si trascina in cucina. Apre un mobiletto, tira fuori una tazza, prepara il caffè. Siccome la vita non contempla più la possibilità delle mani vuote, ha già l’iPhone acceso e in servizio. Col caffè ci sta bene il giornale, così il lavoratore medio digita l’indirizzo di un quotidiano e scorre la prima pagina. La Russia è pronta per la guerra nucleare. E poi passa alla prossima notizia, il surriscaldamento del globo è qui, ci ucciderà tutti, l’Inghilterra che ferma la somministrazione di farmaci bloccanti la pubertà perché i ragazzini richiedenti sono troppi. Una volta era infodemia, ora sono paccheri. 

Era meglio quando per leggere il giornale bisognava uscire. Ti passa pure la voglia di pane burro e marmellata, figurati quella di lavorare. Com’eravamo innocenti, che campi di grano che erano le nostre vite. Che pacchia in quegli anni 90, quando ci avvertivano del buco nell’ozono ma ci dicevano che si poteva ancora salvare la baracca. Bastava eliminare i clorofluorocarburi. Smettete di darvi la lacca e si ripara tutto! Quante apocalissi annunciate può sopportare un essere umano? Perché ci avete tolto la possibilità che possa andare tutto bene? Chi ve l’ha chiesto?  

 

L’adolescenza perenne

Non si trovano adulti manco a pagare. Video ridicoli di cinquantenni. Professionisti avvocati che fanno i balletti su Instagram a scopo di promozione delle attività dello studio. Una notte vennero e ci rubarono il senso del ridicolo. Accadde tutto in dodici mesi scarsi. Quando finimmo su Facebook, che era una cosa mai vista prima. Il disagio, la diffidenza, durarono Natale e Santo Stefano. Dopo qualche mese iniziammo a scrivere tutti, per farci apprezzare in qualche modo. A pubblicare foto. A darci un tono. A parlare col pubblico, avevamo un pubblico, anche se fatto di cugini. Tanto era una cosa fuori dal normale e percepita contraria all’essere una persona rispettabile che avevo un incubo ricorrente: nonostante il profilo chiuso, e segreto, sognavo il mio datore di lavoro che mi chiamava in disparte, mi mostrava i miei status Facebook e mi chiedeva deluso: Ester, ma lei perché si mette a scrivere queste sciocchezze?

 

La rabbia comune

Prima per odiare con le viscere qualcuno serviva conoscerlo. O che fosse un pubblico rappresentante di governo in sospetto di ruberie. Serviva che ti avesse fatto qualcosa, un torto, una canagliata, proprio a te, personalmente. Uno sgarbo, un dispetto, un pettegolezzo. Adesso c’è Chiara Ferragni. L’odio è lotta ideologica, lotta continua.

 

Gli appartamenti della salvezza su WhatsApp

C’è una specie di nuova pelle, con le amicizie. Coi nostri migliori amici, adesso, ci scriviamo. Il miglior amico non è la spalla da piangerci sopra, è quello a cui scrivi tutti i giorni. La sola rivoluzione buona dei social è questa: l’offerta illimitata di simili. I simili si trovano che è una meraviglia. S’attraggono. Un idem sentire nelle parole che si riconosce e s’incontra. I migliori amici stanno in chat, adesso. Tutti abbiamo su WhatsApp l’appartamento della salvezza: ci curiamo i malumori e ci dividiamo le felicità. Uno degli choc social è stato quando ci accorgemmo che certi incontri online ci stavano più congeniali di soggetti che conoscevamo di persona magari da anni. 


I salti

Si potrebbe approdare alle nuove epoche in una maniera più urbana e per favore non ogni due anni? Così non reggeremo a lungo. Non ce la facciamo. Vivere ed essere felici è diventato come pescare sopra una cascata. Produttori di progresso (noi) che però non hanno i nervi per stare dietro a quel progresso che inventano. Che fine di Sisifo che abbiamo fatto.


“Ora siamo entrati nella fase dell’industrializzazione totale e dell’automazione (e non importa se una grossa parte del mondo è ancora fuori; ormai dappertutto si va a salti; appena ci si muove si è già lì). Ci siamo entrati molto prima d’avere un ordinamento razionale all’altezza della situazione (un sistema socialista mondiale); le macchine sono più avanti degli uomini; le cose comandano le coscienze; la società zoppica e inciampa da tutte le parti cercando di tener dietro al progresso tecnologico. Insomma non siamo ancora capaci di tener testa a tutto questo, non abbiamo né gli strumenti di direzione pubblica, né gli strumenti individuali, di direzione della vita privata (abbiamo giornate piene, affannose, attivissime ma resta il dubbio di perdere il tempo macinando a vuoto, la paura della vita sprecata)”. 
“Una pietra sopra”, Calvino, 1960

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