Alexis de Tocqueville (Wikimedia commons) 

Il Minotauro

Tra potere politico e tecnocrazia è a rischio la libertà

Carlo Marsonet

Perché lo sviluppo dello stato-macchina rischia di portare all’accentramento alla burocratizzazione totale dell’esistenza. Il rapporto tra governo e management nel libro di Lorenzo Castellani

Storico delle istituzioni politiche presso la Luiss-Guido Carli, Lorenzo Castellani è uno studioso del potere e, in particolare, del rapporto tra potere politico e tecnocrazia. Basti pensare, solo per citare i più recenti, ai suoi volumi Sotto scacco (Liberilibri, 2022) e L’ingranaggio del potere (Liberilibri, 2020). Da questi emerge un quadro cupo, ma realistico, delle dinamiche tecno-democratiche del presente. Appena pubblicato, Il minotauro. Governo e management nella storia del potere (Luiss University Press) non fa che continuare il percorso di ricerca di Castellani, ma con l’enfasi posta sull’excursus storico dello sviluppo del governo dello stato e del management, nonché delle loro pericolose commistioni.

 

L’esito è quello richiamato nel titolo: il “Minotauro”, figura mitologica mostruosa che, da mezzo burocrate, preme per conculcare la spontaneità sociale e la libertà dei singoli; e da mezzo manager, invece, spinge verso la standardizzazione e il conformismo. Da un lato, infatti, l’autore mostra come lo sviluppo dello stato-macchina non porti che all’accentramento e alla burocratizzazione totale dell’esistenza. Una tendenza, peraltro, che forse più di tutti Alexis de Tocqueville individuò nell’Ottocento e dalla quale mise pure in guardia. Un potere certo diverso da quello assolutistico e poliziesco, ma forse per questo più ominoso: facendosi più impersonale ma più pervasivo, più mite ma più capillare e paternalistico, non fece che alimentare aspettative e dipendenza di una società ormai frammentata e disintegrata, ma bramosa di efficienza e benessere. E’ così che un nuovo tipo di potere di natura tecnica, originatosi dallo sviluppo industriale, avrebbe trovato spazio oltre i propri confini, insinuandosi nella politica.

La presunzione scientifico-manageriale, sulla scorta del suo pioniere Frederick W. Taylor, risulta in fondo universalistica e oggettiva, e per ciò stesso esportabile anche in politica. Ciò è ben visibile sotto l’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti, ma non solo (si pensi al nazionalsocialismo tedesco e al comunismo sovietico). Il governo scientifico e l’organizzazione, insomma, divengono la misura di un ordine politico efficientista e produttivista. Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, il governo politico-scientifico cambia grado e misura, ma non forma e natura. Lo stato tentacolare e interventista, infatti, è difficile da disassemblare. E tuttavia, a partire dagli anni Settanta il paradigma entra in crisi. Si sviluppa, così, nel corso degli anni Ottanta, un modello neo-manageriale. Da stato pedagogo e affaccendato, esso si tramuta in un orologiaio, scrive Castellani, mirante a fornire servizi e prestazioni per la società. Di più, diviene un tutt’uno con la società, talché indistinguibili sono ormai i confini dell’uno e dell’altro.

 

Si vengono inoltre a sviluppare, culminando nel presente, le agenzie internazionali e globali. La sovranità si è insomma sfibrata a favore di una non meglio precisata governance globale. E’ così però che, con le crisi economiche e della sicurezza del nuovo secolo – si pensi all’11 settembre 2001 e ai fatti del 2008 – (ri)esplode la fame di una politica che rimetta al centro la sbiadita nozione di sovranità: ritorna lo stato interventista e muscolare, fuso però con un impianto manageriale che fa ormai parte della politica. Ecco, nuovamente, il Minotauro. Una tale visione “centrista”, avrebbe detto però Wilhelm Röpke, non fa i conti con l’uomo e con la sua dignità che sola si esplica nella libertà, e non nella standardizzazione e nel controllo della sua vita dall’alto.
 

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