Estate con Ester
Ultimo giorno di mare, ci attendono quelle solite microtristezze indefinite
Con la fine delle vacanze riemerge lo spaesamento causato dal ritorno a casa: le mail preliminari di lavoro, il giacchetto a cena perché ormai è fresco e il sole che comincia ad andare a letto presto
Ultimi giorni di calura. Chi è davanti alla valigia da fare, chi guarda l’oblò della lavatrice. Senso di spaesamento, è tempo di tornare. Al posto delle zanzare la sera ti pungono quelle microtristezze indefinite, le mail preliminari di lavoro con i “ne parliamo al rientro” ipocriti, il giacchetto a cena perché ormai è fresco, il sole che comincia ad andare a letto presto, le unghie dell’autunno che s’allungano su tutto.
Non hai fatto neanche in tempo a finire la crema solare ed è finita l’estate, la vacanza. Ultimo giorno di mare, campanella della ricreazione al contrario. E’ finita, anzi non è mai iniziata. Rientrare nelle postazioni, prego.
Un catalogo.
Il pessimista. E’ ipersensibile al maletiempo e al corso delle stagioni. Fanno due tuoni: è arrivato l’inverno. Un altro anno se ne va. Processione di malinconie, sbianca due toni di abbronzatura dalla tristezza.
L’ottimista. Indifferente al tempo che passa. Faremo altri fine settimana, il tempo sarà bello fino a novembre, vedrete.
Il Flaiano. Guarda l’orizzonte. Bambini in acqua felici. Schiamazzo tenue, c’è meno gente, silenzio a tratti. Passa una barca a vela. Gli salgono alcuni pensieri, una schiuma emotiva, vorrebbe decifrare. Eccoli, i suoi pensieri, se le parole gli obbedissero: Mare vivo, azzurro, freddo. Deliziosa sensazione di calma, di pace finalmente raggiunta. (1)
Silenzio, calma, una donna che prende il sole – volgare – ma una ragazza che gioca a pallone con un giovane. Bellissima, graziosa, quasi nuda, vascolare. Dare la grazia pura di questo spettacolo se possibile. Senza turbamento. Purezza. (2)
Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno l’invoca, la primavera l’invidia e tenta puerilmente di guastarla. (3)
E. Flaiano. “Diario degli errori”, Adelphi.
Il cameriere al Lido. Saluta in gloria la fine dell’estate. Non ne vuole sapere più di questa iacovella di ombrelloni, lettini, pasta col polpo e panini e spritz. Ne avesse incontrato uno non dico educato, ma scostumato nella media. Ci siamo fatti odiare tutti, senza distinzioni.
Il Neorelazionista a distanza. Ci cascano giovani e semigiovani, si innamorano in vacanza. I due si dicono, sinceramente convinti che sul loro agosto non ci pioverà mai, resistiamo un po’ e poi saremo i più felici del mondo. Il programma è ridurre la distanza in tre mesi. Che poi diventano sei. Che poi diventano mai. Serie di gradevoli bugie, si traccheggia in misura intermedia. La relazione estiva genera l’inevitabile “non vedo l’ora di vederti” autunnale, padre di lunghi mali.
Lavoro, mutuo, amici, abitudini locali, insomma molte cose ti manterranno geograficamente saldo e stanziale. L’amore non è quello in vacanza. I relazionisti a distanza sono come gli amanti clandestini, spiace, troppo facile. Si comincia a parlare di coppia quando il tutti i giorni diventa denso come la maionese e si prova a non farlo impazzire. La coppia nasce quando ci si odia un po’.
L’Autunnale. Non gli pare vero, è finita la iattura. Arrivano le piogge, le castagne e la copertina sul divano. Cesare Pavese. Con gli anni ha imparato a fingere entusiasmo d’agosto per buona creanza, per non sembrare un afflitto dalla vita, ma detesta tutta l’estate. Il ravvedimento è possibile. Avviene nel caso di congiunture molto fortunate: se diventa ricco e compra una barca, per esempio, cambierà carattere. Controllerà il meteo dal 21 marzo dicendo per settimane intere: dai che ci siamo quasi, questo venerdì la mettiamo a mare. La trasformazione è radicale: nuovo marinaio, lo sentirai decantare calette sarde, siciliane e campane, diventerà sommelier di spaghetti e vongole, comincerà a parlarti sognante dell’estate alla vigilia di Natale. Perché la più bella, d’estate, deve ancora venire.
Il Terrorizzato da settembre. Non riesce nemmeno a dire il nome di quel mese grifagno, figlio di Saturno o qualche altro pianeta storto. Che arriva a settembre? Oscurità.
Il bambino che si tuffa. Questo scazzamauriello avrà quattro anni al massimo e purtroppo gli hanno già insegnato a nuotare. E’ equipaggiato di una maschera troppo grossa per la sua testa che imbarca acqua. Non s’arrende, stringe l’elastico, se la risistema con tenacia a ogni immersione come se la prossima volta potesse funzionare. Sta a due metri dalla riva e non si muove dal cubo dei tuffi. Disperati il bagnino, i genitori, i vicini di posto. Nessuno si avvicina. Si butta in acqua a ripetizione, di pancia, di testa, di piedi, a cufaniello. Millecinquecento volte al giorno. A un certo punto sparisce, qualcuno lo chiama, riemerge. Urla che ha visto sette delfini quindici granchi e un plotone di meduse. I genitori hanno rinunciato alla sua salvezza in cambio della loro: non c’è modo di strapparlo al mare, giusto due merendine usate come esca, ma la tregua dura dieci minuti. Viene sollevato di peso solo alle sei del pomeriggio, tra i giuramenti della madre che gli assicura davanti a tutti i santi che il mare dopo quest’anno lo rivede all’università. Esce dall’acqua come un torsolo di pannocchia bollita e non lo sa, che è l’ultimo giorno di vacanza e domani si parte. Non ha ancora finito le forze, trotterella, chiede se può avere una focaccia del bar, gli viene negata, chiede perché, lo prendono in braccio lividi, gli comprano la focaccia. A quel punto si gira intorno e sorride a tutti, trionfante. L’estate è la sua. L’hai incrociata pure tu mille volte, t’è passata accanto, hai provato ad acchiapparla e stavolta invece è stranamente ferma, ce l’ha lui in faccia e non l’hai mai vista così bene: felicità.