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il libro

Discriminare è sbagliato? Anche no, basta intendersi sul giusto significato

Walter Block

Pubblichiamo un estratto tratto da “Le ragioni della discriminazione. Una difesa radicale della libera scelta”, il volume di Walter Block pubblicato recentemente da Liberilibri (204 pp., 18 euro)

La discriminazione, sia essa di carattere economico, etico o politico, è stata trattata da gran parte della comunità accademica come se non fosse suscettibile di analisi logica, come se la considerazione stessa di punti di vista alternativi fosse in qualche modo sconveniente. La filosofia del “femminismo”, dei “diritti umani”, del “multiculturalismo” e della “correttezza politica” ha permeato a tal punto la discussione intellettuale che le critiche alla visione dominante assumono un’aura di illegittimità fin dall’inizio, ancor prima di ascoltare le argomentazioni a loro favore. Ciò è estremamente spiacevole. Se non altro, On Liberty di John Stuart Mill dovrebbe farci riflettere prima di chiudere la mente a prospettive alternative (come quella descritta in questo libro, Le ragioni della discriminazione edito da Liberilibri).

Nella nostra storia recente, il termine “discriminante” aveva un valore positivo. Era un complimento. Dire che una persona era discriminante significava dire che era in grado di fare sottili distinzioni. Oggi, ovviamente, dire che qualcuno è discriminante significa accusarlo di pregiudizio. Questa visione moderna è incarnata nei cosiddetti codici dei diritti umani della società, in cui è illegale discriminare le persone sulla base di razza, religione, sesso, origine nazionale, handicap, preferenze sessuali, età, etc. La discriminazione oggi comporta una sanzione legale: una multa e persino una pena detentiva a rafforzamento del divieto.

Consideriamo allora una trattazione filosofica alternativa della discriminazione, talvolta nota come liberalismo classico. Esso pone una sola e unica domanda: “Quando è giustificato l’uso della forza (da parte dello stato)?” e dà una sola e unica risposta: “Soltanto come reazione a una precedente violazione dei diritti”. Come tale, questa visione deve essere nettamente distinta dalle teorie etiche. Ciò è fondamentale, perché c’è tutta la differenza del mondo tra l’affermare che una persona non dovrebbe essere imprigionata o penalizzata legalmente per aver compiuto l’atto x e l’affermare che l’atto x è morale. Non è una contraddizione opporsi alla criminalizzazione della discriminazione sulla base della razza, del sesso, dell’origine nazionale, etc. e allo stesso tempo affermare che tale comportamento è immorale. Ed è proprio questa la posizione sostenuta nel presente libro. La discriminazione viene difesa, qui, nel senso molto limitato che chi la commette non dovrebbe essere incarcerato, multato o comunque ostacolato in altro modo dalle autorità governative. Chi scrive, tuttavia, trova tale comportamento odioso e moralmente ripugnante fino all’eccesso.

Il liberalismo classico si basa sulla premessa che ognuno di noi è proprietario della propria persona; siamo sovrani su noi stessi. Abbiamo diritti di proprietà sui nostri stessi corpi e sulle cose che acquistiamo o che riceviamo in qualsiasi altro modo legittimo, come doni, eredità, scommesse, etc. Intrinseco a questo modo di vedere le cose è che esistono dei confini. Il mio pugno finisce qui, il tuo mento inizia lì. Se il primo tocca il secondo, senza essere invitato a farlo, ti ho aggredito. L’essenza di questa filosofia è che qualsiasi violazione dei confini altrui – come lo stupro, l’omicidio, il furto, la violazione di domicilio o la frode – è severamente vietata.

Al contrario, all’interno della propria sfera, l’individuo è libero di fare tutto ciò che desidera, a condizione che non violi le regole del gioco, i diritti o i confini degli altri. E’ comprensibile che le persone possano essere profondamente ferite da qualcuno che neghi loro l’amicizia o un aiuto economico, ma è diritto dell’individuo negare benefici di questo tipo, poiché tali atti di omissione non possono essere razionalmente interpretati come un superamento dei confini. Finché non si invade la persona o la proprietà di un individuo, non si verifica alcun reato perseguibile e, di conseguenza, non si dovrebbe incorrere in alcuna sanzione, che sia una multa o una pena detentiva. 

Da questa filosofia deriva la “legge dell’associazione”, ovvero che tutte le interazioni tra individui liberi, sovrani e indipendenti devono essere volontarie e basate sul mutuo consenso. Sui temi della pornografia, della prostituzione, della libertà di parola e delle droghe, la ben nota frase secondo cui “qualunque cosa fatta tra adulti consenzienti dovrebbe essere consentita” riassume questa filosofia. La variante liberale classica di questa frase, nella felice espressione di Robert Nozick, è che “tutti gli atti capitalisti fra adulti consenzienti” dovrebbero essere parimenti consentiti. 

Tutti gli atti, sia personali che commerciali, dovrebbero avvenire sulla base della reciprocità. Da ciò deriva che anche la discriminazione è un diritto e, pertanto, non dovrebbe essere un atto criminale praticarla, su qualsiasi base venga fatta. Ma qui è importante sottolineare che ciò che si intende per “discriminare” è qualcosa di molto particolare. Significa ignorare, evitare, eludere, non avere nulla a che fare con un’altra persona. Non implica certo il “diritto” di linciare, picchiare, schiavizzare, aggredire o commettere violenza contro qualcuno di un gruppo disprezzato. Ad esempio, se non mi piacciono i calvi con la barba che portano gli occhiali, devo avere il diritto di non aver nulla a che fare con essi. Secondo questa filosofia, non dovrei essere multato o incarcerato per essermi astenuto dal trattare con loro. D’altra parte, non posso avvicinarmi a queste persone e dargli un pugno sul naso. Dovrei essere incarcerato se mi abbandonassi a questo tipo di azioni. In altre parole, posso fare tutto ciò che desidero alle persone contro le quali nutro dei pregiudizi, a patto che non superi i loro confini o violi i loro spazi (la loro persona e i loro diritti di proprietà). Posso “farli fuori” socialmente e commercialmente, ma non posso commettere la minima violenza contro di essi.

E’ “bello” discriminare le persone? E’ “ragionevole” avere pregiudizi su un intero gruppo di persone, sulla base di esperienze negative con un piccolo campione? Certamente no. Nella credenza popolare, i discriminatori sono odiosi e malvagi perché non vogliono avere niente a che fare con certi gruppi di persone. Inoltre, sono considerati illogici in quanto generalizzano eccessivamente estendendo le conclusioni tratte da un piccolo campione a un’intera popolazione. Tuttavia, la questione che stiamo affrontando non è lo status morale o scientifico dei discriminatori. Ci interessa essenzialmente sapere se l’individuo abbia o meno il diritto di agire in questo modo e conoscere le implicazioni economiche di questa filosofia, non se sia bello o ragionevole farlo.

La nostra società attuale ha perso di vista le sue radici storiche liberali classiche, tanto che la causa della libertà nelle relazioni umane può sembrare ad alcuni vagamente razzista, sessista o comunque moralmente discutibile.

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