Gayatri Malhotra via Unsplash 

Se due uomini denunciano la discriminazione di essere nati senza utero

Marina Terragni

A New York una coppia gay chiede che l'assicurazione rimborsi i costi di una maternità surrogata. Si rivendica in tribunale "il diritto alla fertilità"

Corey Briskin e Nicholas Maggipinto sono una coppia gay. Sposati nel 2016, con regolamentare annuncio sul New York Times, vivono in un luminoso condominio sul lungomare di Williamsburg, Brooklyn. Recentemente la coppia si è rivolta al tribunale del lavoro di New York chiedendo che l’assicurazione sanitaria di Briskin – è stato assistente del procuratore distrettuale, fra i benefit anche una generosa polizza – rimborsi i costi di una maternità surrogata: 200 mila dollari e più, secondo i conti dall’organizzazione Gay Parents to Be. Spesa fuori dalla loro portata.

 
La polizza copre i casi di infertilità intesa come incapacità di avere un figlio attraverso il sesso eterosessuale o l’inseminazione intrauterina: buona per etero e lesbiche – che dispongono in proprio almeno di un utero, eventualmente di due – ma non per i gay. Una discriminazione illegale secondo la coppia che perciò ha fatto causa contro la città di New York. In caso di vittoria, commenta il Guardian “i datori di lavoro e le assicurazioni sanitarie di tutti gli Stati Uniti saranno costretti a cambiare le loro politiche per dare ai maschi omosessuali lo stesso accesso ai benefici della fertilità”. 

 
Soprattutto, la mancanza di utero verrebbe definita come una disabilità e quelli che ne sono privi  – gli uomini –  una categoria protetta. Un bel salto simbolico. Briskin e Maggipinto “protestano contro l“ingiustizia” di non essere nati biologicamente femmine” commenta la femminista americana Phyllis Chesler. “Sebbene siano entrambi uomini bianchi istruiti e benestanti, denunciano la “discriminazione” dovuta all’incidente della loro nascita e rivendicano il “diritto alla fertilità”. Immagino” conclude Chesler “che l’invidia per l’utero possa giocare un ruolo nella richiesta di una cosiddetta “giustizia riproduttiva””. 

 
Il caso rappresenta plasticamente quello che il fronte Lgbtq+ chiama “cis-privilegio”: il vantaggio di essere nate donne con un’identità di genere coerente con il sesso biologico (quasi mai il termine viene utilizzato per i cis-maschi). Il cis-privilegio, per farla breve, è nascere utero-dotate e poter partorire. Non che sia una novità: da sempre gli uomini hanno voluto controllare le donne e la loro capacità di dare la vita, è stata la prima mossa di quella che chiamiamo costruzione patriarcale. La novità, dicevamo, è simbolica, un passo avanti non da poco: il moto invidioso viene esplicitamente ammesso e si mostra con chiarezza nel linguaggio. Freud si rigira nella tomba. Osserva Marcel Gauchet (La fine del dominio maschile) che mentre “le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini, gli uomini, da parte loro, non fanno e non possono fare tutto quello che fanno le donne. C’è una cosa essenziale, vitale, che per loro è impossibile: mettere al mondo bambini”.

 
L’“impolitico” utero ha avuto una parte anche nella nostra esagitata campagna elettorale. L’“abietto materno” (Julia Kristeva), oggetto di sprezzo e di sfottò  – le “mamme pancine” – si è riportato al centro, con tutta la forza di un rimosso che ritorna. Una – Meloni – che si dice madre, definizione bandita dal lessico risvegliato; l’altra – Schlein – non-madre e contraria all’idea delle donne come “uteri viventi”, a meno che detti uteri  non siano offerti in locazione. L’aborto, lato d’ombra della maternità, che si è preso la scena in alternanza con la questione fascismo-antifascismo. Sullo sfondo, il brontolio delle questioni biopolitiche di cui l’utero è il Graal. 

 
La faglia umano-transumano taglia il mondo in due. Si manifesta nel discorso di Vladimir Putin alla cerimonia di annessione delle repubbliche autoproclamate – “Qui in Russia non vogliamo parlare di genitore 1 e genitore 2 anziché di madre e padre, non vogliamo nelle nostre scuole il degrado del gender” –; lacera gli Stati Uniti in vista del voto di midterm (Biden ci si è già giocata la Virginia, inaspettatamente unwoke). Anche da noi la questione ha avuto il suo peso elettorale, per quanto misconosciuto. Il fatto che a candidarsi alla guida del paese sia stata una donna ha fatto la differenza.

 
Nel suo discorso alla Conferenza programmatica di Milano Giorgia Meloni ha detto che “il vero obiettivo dell’ideologia gender è fare scomparire la donna in quanto madre. L’identità femminile è sotto assedio perché si vuole distruggere la straordinaria forza simbolica della maternità. E’ nel grembo materno” ha sottolineato “che impariamo ad essere due, è nel rapporto tra madre e figlio che si fa l’esperienza delle cure, dell’accettazione delle imperfezioni, dell’amore gratuito. In una parola è l’umanità stessa. Crediamo che questo sia il tempo delle donne”. 

 
Se le premesse sono queste, se davvero quel due sarà inteso, per il bene di tutte e tutti, come il soggetto politico contro la fittizieria dell’individuo, se tutto questo diventasse politica: be’, sarebbe un bel giro di boa.