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Il Foglio del weekend

Il corpo spento. Dai bogomili a Ultima Generazione

Ginevra Leganza

Come si ammazza l’erotismo dello spogliarello: denudandosi in difesa dell’ambiente e osservando severi galatei per naturisti

Tutti nudi per salvare il mondo, con l’Amazzonia sotto le ascelle. Attivisti di Ultima Generazione, naturisti francesi, vegane newyorkesi. Le mutande sono un atto politico – il Foglio lo sa – ma questa volta con risvolto anerotico. Incatenati e nudi, a Roma, c’erano i tre o quattro dell’apocalisse. Su quell’autostrada in centro che è via del Tritone, Ultima Generazione fermava il traffico sfoggiando ventri capezzoli e scapole corredate di scritta: “Stop fossile”. Nudi sì, ma spenti, poco eccitanti. Con maniglie dell’amore spremute dai jeans. 

Ultima Generazione spazientiva automobilisti, pendolari, autisti del bus. Ma se il clima se ne frega dell’indignato in mutande, e se questi corpi non bastano a tenere buono il livello del mare o a estinguere gli incendi per siccità, estinguono comunque ogni desiderio. Perché l’ambientalismo, oggi, esige il corpo orrendo. A parte DiCaprio e (in scala ridotta) Ale Gassmann, avete mai visto un ambientalista sensuale? I nostri nudi non sono naturisti alla von Gloeden, sbarbati, col sogno dell’Arcadia. Belli, omoerotici, lontani dal mondo. I nostri sono metropolitani coi capelli intrisi di smog. E infatti non sporcano gli abbeveratoi paesani ma la Fontana della Barcaccia. I loro corpi, i loro visi, richiamano canoni sciatti ma cosmopoliti. Tipo Lennon-Yoko Ono: capelloni e pelosetti. (Un tempo erano le nonne di paese a rifuggire le cere. Ma oggi che il mondo si è capovolto, le estetiste laggiù non hanno un sabato libero mentre qui in città essere scimmie è avanguardia. Il pelo e l’adipe sono un vezzo. Non a caso leggi a tutela del curvy sono approvate in questi giorni a New York, mica a Battipaglia, e su proposta del democratico Shaun Abreu). Comunque, se pure imbacuccati – come quando mesi fa bloccarono il traforo del Monte Bianco – quelli di Ultima Generazione sono corpi che sanno di deposizione del morto. Finché appunto non si svestono. Scoprendosi spesso villosi: benché cittadini, cercano la comunione con boschi e bestiole. Sarà controintuitivo, forse, associare il nudo all’animale peloso. Ma l’ambientalismo pone l’ascella tenebrosa come conditio. Anche perché dagli anni Settanta a oggi, dall’eco-femminista Françoise d’Eaubonne alla sua erede Sandrine Rousseau, passando per la mitica Giorgia Soleri (la fidanzata di Damiano Maneskin tutta peli, mestrui e dolorismo), l’ambientalismo abbraccia la lotta transfemminista. E sappiamo quanto le femministe si battano, oggi, per le Amazzonie nel mondo e sotto le ascelle. Con l’epilazione “piaga patriarcale” non meno della deforestazione. In un ritorno allo stato di natura dove forse è vero che donna baffuta-sempre piaciuta.

“Mettiamo a nudo il nostro corpo, vulnerabile come il pianeta”, dice una eco-attivista in via del Tritone. Ha il fiatone mentre spiega che “lo scarseggiare di cibo e acqua” porterà a “enormi flussi migratori, al dilagare di malattie, all’accentuarsi di tutte le disparità: di razza, genere, orientamento sessuale, età”. Insomma, ci sarà da divertirsi. E davanti a questa prospettiva, dice, “mi sento vulnerabile, molto più di quanto mi possa sentire con il mio corpo mezzo nudo, a bloccare la strada”. Ed è un nudo, il suo, che non si cura di sé. Perché non c’è niente – ma proprio niente – più sostenibile dell’incuria. Niente di più ecologico di una pelle senza creme, senza oli o senza acidi. O di un seno senza supporto di ferretto, che segua pedissequo le leggi naturali e dunque la legge di gravità. Segnando così la coincidenza fra natura e baratro, naturismo e petti cascanti. 

C’è da dire, però, che quelli di Ultima Generazione – nel fenomeno nudista dei nostri tempi – rappresentano la frangia più estrema. Le ragazze si batterebbero col cilicio piuttosto che ungersi il viso di pigmenti inquinanti. Non si truccano e non si depilano. Come monache in attesa del finimondo. E certo si fa presto a dire “millenarismo”, tenendosi alla larga dallo shampoo, ma Ultima Generazione è un nome di grande marketing escatologico. Ancor più efficace di Extinction Rebellion: l’internazionale dell’eco-ansia. Lo scrittore cinematografico Michael Crichton li avrebbe chiamati “atei urbani”, fautori di una nuova religione – l’ambientalismo – per la quale bisogna “riappropriarsi di un Eden” (e già qui s’intuisce il corpo nudo e mortificato). Bisogna riappropriarsi di un paradiso perduto dopo la caduta. Rovinosa caduta in uno stato di inquinamento causato dall’aver assaporato il frutto proibito. Ovvero la mela succosa di tecnica, sfruttamento di risorse e antropo-capitalismo. Tutti elementi, questi, che hanno fatto di noi “l’altra specie”. Quella che ha prevaricato la natura con la tecnica e l’arte. E, nell’arte, si è inventata il canone di un corpo perfetto che oggi, fra le altre cose, bisogna eclissare. Un po’ per espiazione. Un po’ perché il corpo bello, per esistere, deve inquinare. E dunque comprare vestiti, polveri per gli occhi, creme depilatorie, deodoranti che punzecchino il buco nell’ozono. Non è dunque un caso se nei musei ci si scaglia su bei visi e belle forme, in quell’onda partita al Louvre – con la Gioconda presa a torte in faccia e trasformata in un quadro di Bacon – e arrivata più tardi agli Uffizi. Dove i corpi degli attivisti, sempre seminudi, in minigonne bermuda e shorts, si interponevano fra il pubblico e il drappo rosso della Primavera di Botticelli. Con le Tre Grazie e la ninfa Clori – flessuosa, posseduta dal vento – e un controcanto di fricchettoni pelosi. Nel solito amalgama di sessi sovrapposti: di maschi con capelli lunghi e pantaloni corti mescolati a femmine coi peli sotto le ascelle. 

Ma come si diceva, Ultima Generazione è la frangia più estrema. Loro sono i bogomili dei nostri tempi: gli eretici che ci meritiamo. E anche loro, come appunto i bogomili, ovvero i settari che intorno all’anno Mille non si accoppiavano più ritenendo il coito perpetuasse Satana, scelgono spesso di non avere figli. Perché il corpo nudo e racchio va bene per protestare, ma forse meno per procreare. E come nel Medioevo sputavano addosso ai bambini o si turavano il naso, così oggi spunta il nostro “childfree movement”. Secondo gli ultimi report di Morning Consult, fra gli adulti statunitensi che scelgono di non avere figli 1 su 4 nomina il cambiamento climatico come causa d’infecondità. Ci sono poi studi (“The climate migration gap” di Seth Wynes e Kimberly Nicholas) che cercano di quantificare l’impronta carbonica di ogni nuova persona sulla Terra esortando a fare tutti un figlio in meno. Ma visto che – come direbbero loro – non siamo nel Medioevo, e ci hanno persino inventato il condom, come si fa a non procreare se pure i preservativi inquinano? Risposta: si fa che sesso etico è solo quello che non si fa. Sostenibile per sostenibile, vale solo la castità. E così il cerchio è chiuso, col corpo spento che trova un suo perché: si protesta da nudi ma senza erezioni. Non sia mai ci scappi il coito. 

Ma il corpo spento non è solo quello dei nudisti col sangue agli occhi. Esistono ancora le spiagge, i mari, le isole ai margini del consesso umano. “La revoca delle restrizioni legate al Covid e la consapevolezza della crisi climatica hanno stimolato la mania per il naturismo”, scrive il Figaro in un recente articolo che spiega come vivere nudi – a detta di alcuni psicologi – sia una “cura per l’ego”. La Francia è la prima destinazione naturista al mondo: sono più di due milioni i turisti che ogni anno bazzicano camping e club. Su l’île du Levant – racconta un’impiegata in fuga dall’ufficio – si entra in sintonia col proprio corpo. E poi, in mezzo ad altre cosce funestate di cellulite, si rompono i canoni di bellezza. E siamo sempre lì, al solito mantra del “tutte le donne son belle uguali”. Per curarsi l’ego c’è bisogno di una più racchia di noi (è la body positivity, bellezza). E quale miglior modo se non denudarla, quella più racchia di noi, come facevamo da bambine con le Barbie per scorgerne così le più piccole imperfezioni? A patto ovviamente di denudarci anche noi. Per poi scoprire – ma non mi dire – che nessuna è perfetta, nessuna è Barbie. Ci si guarda l’un l’altra, fissando in fondo i crateri sull’anca. E ci s’illude così che – a forza di guardare – si sanino i crateri, scompaia la smagliatura. Ebbene, neppure qui il nudismo è un inno alla vita. In questo caso la natura serve solo a farci sentire meno sfigate: se abbiamo tutte la cellulite, nessuna ha la cellulite. Se siamo tutte brutte, nessuna è brutta. E dunque il nudismo non è quello di una tentatrice col serpente. Perché qui ci si spoglia un poco per una, in un sacrificio collettivo, per sentirsi meno imperfette. Piccolo spoiler: fuori dall’île du Levant le Barbie esistono ancora. Esisteranno sempre. Vedi Margot Robbie. 

Ma il discorso non è solo intrafemminile. La sessuologa Nathalie Bénet-Weiler parla di regole naturiste che impongono a maschi e femmine di non guardarsi le parti basse: un galateo per nudisti di cui forse non c’era bisogno. “Avevo paura che tutti mi guardassero, ma non è stato affatto così”, dice l’impiegata in una frase che riassume manuali di seduzione. Da che mondo è mondo, infatti, la foglia di fico eccita più delle tette al vento. In certi casi molto belle. Ma se nessuno in quelle spiagge le guarda più non è che lo fa per bon ton: è che quando hai già visto tutto, banalmente, che cosa vuoi vedere? “Niente”, scriveva il filosofo Jean Baudrillard. Ma, superati i sedici anni, lo sa pure la sessuologa che è dentro di noi che per scaldarsi meglio bisogna spogliarsi piano, a volte nemmeno troppo. Secondo i pareri degli psicologi e della Federazione Naturista Internazionale, “l’esposizione del nudo permette una sessualità più pacifica”. Un modo di approcciare spontaneo. Senza aspettative, vergogne e senza ansie da prestazione. Alla lunga – c’è da scommetterci – magari pure senza erezione, visto che il porno è un’anticamera d’impotenza (la sessuologa che è dentro di noi sa bene anche questo).  

Dopo le barbe lunghe e i tipi da spiaggia, vengono infine le signorine. Il New York Times ha raccontato di una cena nudista che spopola in città. Partita dai primi incontri nel 2014 a Brooklyn, è la Füde Dinner Experience, organizzata da Charlie Ann Max, modella curvy, creativa di OnlyFans e cerimoniera degli incontri semi-esclusivi. Il biglietto costa 88 dollari – ancora abbordabile – e ogni cena ha registrato in questi mesi un sold out. Ma il questionario per accedervi è lungo e insistente, in particolare su un punto. Bisogna infatti garantire che durante la cena si guardi ma non si tocchi. E bisogna ancora assicurare di non avere precedenti in tal senso. I maschi sono ammessi in deroga, devono avere un garante: perché il nudo rende liberi, sì, ma si sa che chi toglie le catene a un maschio libera un animale. Diversamente che per le donne, che se resistono nude oltre cinque minuti si liberano dai complessi (così dicono). La Füde Dinner Experience è pensata infatti per sole donne, con pietanze a base vegana e laboratori di respirazione e scultura (sempre senza veli). In questo caso l’eco-femminismo è ripulito o per meglio dire depilato (le foto sul sito ritraggono corpi piuttosto belli e piuttosto lisci anche se curvy). Corpi da guardare ma non toccare. “Penso che la nudità ci permetta di connetterci in maniera diversa”, racconta la trentacinquenne Stephanie Uribe al NYT, “il corpo nudo ci aiuta a spogliarci dai vestiti che ci ha dato il patriarcato: super-sessualità o iper-sessualità”. Era una cena che sembrava un tiaso d’Afrodite o un “Eyes Wide Shut” stile veg. Un rito orgiastico sulla carta. Dove alla fine, però, la carne non può essere mangiata e neppure tastata: solo esibita per “riconnettersi con sé stessi”, in una masturbazione mentale che spazza via i complessi ma pure i maschi. Col nudismo alleato dell’anti-amore. Peccato però che la razza umana usi il vestito come elemento di seduzione. Come coda o criniera artificiale, sulla base del senso estetico (gemello dell’istinto di conservazione). E peccato ancora che l’estetica sia un po’ più attendibile dell’etica, per quanto inquini e lasci impronte ecologiche di sé nel mondo. Da che homo è sapiens, è in scollatura che si perpetua la razza umana. Mentre il topless spegne l’istinto. E il sesso sostenibile – si sa – è solo quello che non si fa. Quello, al più, risolto in vitro.