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Dietro le proteste

La tragedia di chi imbratta i palazzi senza sapere perché lo fa

Francesco Bonami

Tra chi protesta c'è una confusa sproporzione fra azione e risultato finale. A confronto con i veri disastri del pianeta e dell’umanità, terrorismo e attivismo sono tragicamente e pateticamente inutili

La domanda che il sindaco Dario Nardella ha fatto all’attivista di Ultima Generazione “Ma che cazzo fai?!” non è cosi inopportuna e nemmeno è così semplice rispondere. È una domanda legittima per la quale non avrebbe dovuto nemmeno scusarsi. È d’altronde la stessa domanda che qualcuno avrebbe voluto fare, il 12 marzo del 2001, a quei talebani che con le mine e le cannonate buttarono giù i giganteschi Buddha della Valle di Bamiyan in Afghanistan, scolpiti dentro la montagna fra il sesto e settimo secolo dopo Cristo. Cosa c… stavano facendo e perché lo hanno fatto? Secondo me, non lo avevano ben chiaro né i talebani né i disobbedienti civili o pseudo attivisti. In entrambi i casi c’è e c’era una confusa sproporzione fra azione dimostrativa e risultato finale.

 

I talebani consideravano i Buddha un incitamento all’idolatria, ma nel 2001 di buddisti in Afghanistan non c’era più traccia. Ultima Generazione considera Palazzo Vecchio e altri obiettivi il simbolo di un potere che contribuisce a distruggere il pianeta. Motivazione un po’ astratta. Paradossalmente più efficace, magari, sarebbe andare a bucare le gomme a tutte le vetture posteggiate dentro la fabbrica di qualche scuderia automobilistica, ma lì forse non troverebbero quell’emotivo pezzo di pane di Nardella, bensì dei robusti signori addetti alla sicurezza che, prima di sapere le loro motivazioni, probabilmente li riempirebbero di botte assumendosene le conseguenze cliniche e penali.

 

Non voglio certo paragonare i gesti pseudo goliardici di Ultima Generazione alle azioni pseudo criminali dei talebani, la vernice alle cannonate. Desidero però sollevare una questione sul valore delle cose, della realtà e delle persone. Pare che quando chiesero al mullah Omar, leader supremo talebano, il perché della distruzione dei Buddha, lui rispose che quando alcuni archeologi tornarono a offrirgli molti soldi per consentire lo studio e il restauro delle sculture, pensando alle migliaia di afghani che morivano di fame, trovò immorale l’offerta degli archeologi interessati a delle cose inanimate e indifferenti alla vita umana. Ora, se questa fosse stata la vera motivazione, credo che torni complicato dargli del tutto torto. Il gesto iconoclasta mediocre o radicale che sia ci pone davanti a un dilemma, inutile perché irrisolvibile, ma reale. Vale di più un ghiacciaio che si scioglie o un palazzo barocco del Borromini? Se per salvare le vite dei migranti che affogano o degli yemeniti che muoiono di fame si dovesse e potesse  bruciare un Caravaggio, lo faremmo? E così con tante altre cose il cui valore può essere opinabile.

 

Se un terremoto facesse venire giù Palazzo Vecchio, senza vittime s’intende, se ne potrebbe tirare su un altro, ma il lago che scompare o l’ignota persona che affoga caduta da un barcone non si possono più riportare in vita. L’11 settembre del 2001, cinque mesi dopo i fatti di Bamiyan, vennero giù le Torri Gemelle. Sembrò la fine di tutto e non è finito nulla, se non la vita di migliaia di persone. Questo per dire che a confronto con i veri disastri del pianeta e dell’umanità, terrorismo e attivismo sono, tragicamente e pateticamente, inutili. Fanno quello che fanno senza sapere perché lo fanno. La domanda è: davanti all’inutilità di questi gesti e davanti all’irreversibilità di molte tragedie noi, proprio noi, che c… facciamo?

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