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Non solo calcio: Qatar 2022 è anche un modo per capire da che parte stiamo

Giacomo Papi

I Mondiali e le Olimpiadi sono manuali di storia e geografia, un testo grazie a cui molti si avvicinano alla politica: oggi abbiamo sotto gli occhi il coraggio degli iraniani, la protesta dei tedeschi, la pavidità degli inglesi

Ho imparato da bambino guardando “Fuga per la vittoria”, il film di John Huston con Pelé, Ardiles, Bobby Moore e Deyna, oltre a Michael Caine, Sylvester Stallone e Max von Sydow, che i Mondiali vanno visti anche se li organizzano i nazisti, a patto che i nazisti non vincano. Non è entusiasmo per il calcio, il mio, e nemmeno indifferenza per i fatti del mondo. E’ che i Mondiali e le Olimpiadi sono manuali di storia e geografia, un testo grazie a cui molti si avvicinano alla politica e decidono da che parte stare. Qatar 2022 è un evento storico in cui confluiscono alcune delle tragedie e delle linee di crisi del nostro tempo. Nonostante l’assenza dell’Ucraina, che non è riuscita a qualificarsi, e della Russia, esclusa per le sanzioni, gli schiavi morti per costruire gli stadi, l’alcol versato a fiumi nei settori vip e negato a tutti gli altri, le bocche cucite dei tedeschi per protesta contro il divieto della Fifa di indossare fasce arcobaleno in solidarietà agli omosessuali perseguitati in Qatar e la pavidità degli inglesi che hanno ubbidito, ma soprattutto l’eroica protesta dei calciatori iraniani che non hanno cantato l’inno contro la repressione in corso nel loro paese raccontano lo stato dei diritti e della democrazia nel mondo. Ma che l’attualità politica incroci il calcio è la conseguenza di un livello politico più profondo, inciso nei corpi.

Prendete Usa-Galles, per esempio, una delle partite più anonime del torneo, finita 1-1 e giocata lunedì sera. Nel fisico di Sergino Dest, terzino destro degli Usa, si incrociavano più razze che in quello di Puškin o di Sterling Saint Jacques. Perché è la storia del corpo la prima a essere raccontata dallo sport, ed è una storia che coincide con quella della bellezza: capelli, barbe e tatuaggi raccontano che cos’è la moda e come funziona il conformismo, e quello che di tempo in tempo è considerato desiderabile. Ve li ricordate i baffoni di Zaccarelli e di Causio all’inizio degli anni Ottanta? E i caschetti degli olandesi e dei tedeschi nei Settanta? E nel 1982 l’apparizione del Camerun di N’Kono, M’Bida e Roger Milla? In Galles-Usa è andata in scena anche la storia del successo di una famiglia: il giovane Timothy Weah, figlio di George, ex grande centravanti del Milan e attuale presidente della Liberia, gioca negli Usa perché la cittadinanza è, anche, un segno di ricchezza e potere. Ma i corpi raccontano anche la storia dei popoli: il Dna di Gareth Bale si aggirava già alla battaglia di Hastings e probabilmente anche a Neanderthal. E quando all’improvviso nel Galles è spuntato Zimmerman, come Bob, cioè Dylan, e ho capito che gli ebrei sono ovunque, come l’acqua, e possono scegliersi il nome d’arte, come Dylan, in onore di Dylan Thomas, un grande poeta appunto gallese. 

I mondiali mi appaiono l’unica bellezza possibile del nazionalismo, proprio perché dimostrano la sua dissoluzione e l’insensatezza di ogni confine. Osservi Ethan Kwame Colm Raymond Ampadu, calciatore inglese naturalizzato gallese di origini irlandesi e ghanesi, difensore dello Spezia in prestito dal Chelsea, e ti chiedi che senso abbiano le frontiere e quanto siano inadeguate a contenere, e perfino a definire, l’allegro, disperato, impetuoso scorrazzare di spermatozoo e ovuli su e giù per il pianeta Terra. Ma poi ascolti Gianni Infantino, il presidente della Fifa svizzero di origine italiana, dichiararsi qatariota, gay e schiavo migrante, e capisci che il miracolo del potere e dei soldi è regalare a chi li brama più capacità di immedesimazione che a Pierfrancesco Favino. Di sicuro, Infantino potrebbe identificarsi anche con un ayatollah, un torturatore della polizia politica iraniana e una ragazza ammazzata. Senza sforzo.

Essendo invisibili i 7 mila morti per costruire gli stadi, di Qatar 2022 rimarrà lo spettacolo del coraggio dei calciatori iraniani che si rifiutano di cantare l’inno in solidarietà ai manifestanti e alle vittime, rischiando l’arresto per questo. E rimarrà la pavidità di chi si è subito piegato alle minacce della Fifa per non rischiare nulla. Come gli inglesi, che per lo meno avrebbero potuto risparmiarsi di umiliare gli iraniani con 6 gol, esponendoli in patria all’accusa di tradimento. I mondiali in Qatar stanno mostrando l’abisso che separa l’Occidente dal resto del mondo. Da una parte c’è un’umanità che decide di rischiare la vita per diritti di cui l’altra parte del mondo dà per scontati e indossa come un vestito con cui farsi belli, ma per cui non rischiare nulla, neanche una eventuale squalifica. (Se tutti protestassero la Fifa non potrebbe squalificare tutti). Se la protesta dei tedeschi non sarà seguita, i Mondiali in Qatar saranno la dimostrazione che, come ha scritto Adriano Sofri, oggi nel mondo la democrazia è viva soltanto dove non c’è.
 

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