Wuhan, nei giorni scorsi: un uomo addormentato su una panchina. Sul muro lo slogan di propaganda governativa “il sogno cinese” (foto LaPresse)

Sogni da lockdown

Simonetta Sciandivasci

Nella dimensione onirica si trova il solo luogo libero che abbiamo adesso, dove non vige la sicurezza di regime. Dal desiderio di felicità, lo scenario s’è fatto più tetro

Non abbiamo ancora capito che tempo sia, questo di quarantena, se di semina o di raccolta, di domanda o d’offerta, perdita o recupero, stasi o corsa. Il futuro ci terrorizza, stavolta per davvero, e non lo interroghiamo più. Ammettiamo il dopo, che è un futuro breve e a tempo determinato. Non parliamo più di oroscopi, quadri astrali, tarocchi, sciamani. Eppure, nell’ante Covid più recente, erano ciance centrali, tanto che facevamo inchieste sull’aumento esponenziale del numero di persone convinte della scientificità del leggere le stelle, mestiere congelato dal virus come svariati altri, e dai cui professionisti non è arrivato nient’altro che un this too will pass. Siamo concentrati sul presente, lo studiamo scorporato dal futuro, come tempo a sé, architrave e non più arco, lo misuriamo, lo codifichiamo e decrittiamo di giorno in giorno, di ora in ora, mentre assistiamo al suo fare, farsi, disfare, disfarsi. Navighiamo a vista, senza bussole.

  

L’attività onirica, nei momenti d’incertezza, costrizione, disorientamento, diventa intuitiva, fotografica, rivelatoria

Ci fidiamo molto dei sogni. Sono lenti e al ralenti, vedono e rivedono meglio, esaminano, catturano, spiegano. Succede in tutti i periodi di costrizione: spogliamo l’attività onirica del ruolo divinatorio, in effetti macchiettistico, che le affidiamo di solito, così come dell’altro, molto meno macchiettistico e per certi scientifico, di testimone oculare del nostro inconscio.

 

Una delle ragioni per cui stiamo parlando molto di quello che sogniamo, in casa e sui social network, è che l’attività onirica, nei momenti d’incertezza, costrizione, disorientamento, diventa intuitiva, fotografica, rivelatoria. In più, i sogni sono il solo luogo libero che abbiamo adesso, l’unico dove non vige la sicurezza di regime.

  

Non esiste una spiegazione unica e universalmente accettata dalla comunità scientifica del perché gli esseri umani sognino, ci sono solamente ipotesi, una delle quali è che l’attività onirica serve al cervello per fissare le informazioni che ha raccolto durante il giorno, specie quelle alle quali il conscio non ha prestato particolare attenzione e che, però, è importante trattenere. Dolores Prato, scrittrice, tenne per quasi tutta la vita un diario dei sogni esattamente per non perdere alcun dettaglio del reale, restituire l’interezza del quale era per lei il senso della scrittura, se non in assoluto di certo della sua, altrimenti priva – lamentava lei – di qualsivoglia fantasia. Non interessava, a Prato così come a un altro grande archivista di Sogni, Luigi Malerba, cercare il proprio io represso.

 

Qualche mese fa negli Stati Uniti e il mese scorso in Italia è stato ristampato un libro del 1966, “Il Terzo Reich dei sogni” di Charlotte Berardt, dove sono raccolti 75 sogni molto ricorrenti di alcuni tedeschi durante il nazismo. Nell’introduzione, l’autrice scrisse: “Questi diari notturni sono stati dettati dalla dittatura ai loro autori”. Per questo, secondo Bruno Bettelheim, psicologo, in quei sogni “il sognatore può riconoscere com’è fatto il sistema”. Tutto quello che ai tedeschi veniva taciuto, edulcorato, o trasmesso di modo da essere accettato come bene superiore, nei sogni era spogliato dalla propaganda e dai meccanismi di negazione che, durante la veglia, volendo proteggerci dagli shock o semplicemente dalle angosce, possono obnubilarci. Una delle cose che, in sostanza, Berardt dimostrava con quel diario collettivo, era che durante il totalitarismo ciò che dei sogni cambia è che dicono a chi li fa cosa gli succede intorno, e non più cosa prova, o desidera; anche cosa teme, naturalmente.

 

La nostra fantasia è stimolata dal cambio delle nostre abitudini, cioè dalla loro sospensione. Viviamo tutti in un gigantesco, placido caos

C’è, forse, qualcosa di simile a quello che scrisse Georges Perec, stupendo compilatore di liste (pure oniriche), in “Pensare/classificare”: “Ho finito con l’ammettere che quei sogni non erano stati vissuti per essere sogni, ma sognati per essere testi, percorsi tortuosi che ogni volta mi allontanavano dal riconoscimento di me stesso”.

 

Ispirandosi all’archivio Berardt, e avendo registrato la frequenza con cui sui social network gli utenti stanno discutendo e raccontando la propria attività onirica (su Twitter c’è l’hashtag #pandemicdreams), alcuni blogger e studiosi hanno cominciato a registrare i sogni che stiamo facendo in questi giorni. La Cnn ha scritto che, analizzando alcune di queste liste, gli esperti rilevano un altro aspetto importante: in molti sognano ricordi, momenti della loro vita in cui sono stati liberi da ansie, preoccupazioni, incertezze, e che succede perché il cervello, in momenti come questo, è sottoposto a uno stress dai cui effetti cerca da solo di proteggersi.

 

Come si vede, anche dai sogni è sparito il futuro. Soprattutto, dai sogni è quasi del tutto scomparsa la prospettiva.

 

Slegare il significato dal significante per risemantizzare le cose, cioè badare ai sogni come fa la psicanalisi, in questo momento di enorme ruvidezza, essenzialità, rinuncia, ci interessa meno. Per parte loro, i sogni non si sono fatti meno simbolici e astratti, almeno non per tutti. E, certamente, hanno già assunto tutti nostri nuovi riti, mezzi, punti fermi, restituendoci la paura che ci fanno e, forse, anche i motivi per cui ce la fanno.

 

La compositrice americana Sarah Schachner (ha collaborato alle colonne sonore di Assassin’s Creed e Call of Duty, per dirne un paio), ha raccontato d’aver sognato di prenotare un Uber e vedersi però arrivare sotto casa un carro funebre. Sembra un Bergman, vero?

 

Vice America ha pubblicato alcuni sogni, angosciosi e bizzarri, e la Cnn ha spiegato che quella bizzarria può dipendere dal fatto che la nostra fantasia è parecchio stimolata dal cambio delle nostre abitudini, cioè dalla loro sospensione, in conseguenza della quale viviamo tutti in un gigantesco, placido caos. L’irrequietezza delle nostri notti, la difficoltà che molti incontriamo nel prender sonno o mantenerlo per più di due ore, l’insonnia, gli incubi: tutto questo è sì il risultato del vivere sotto un regime, precauzionale ed emergenziale quanto si vuole ma comunque regime, con un’alienazione impressionante delle nostre libertà, ma è anche conseguenza delle nuove abitudini della vita in lockdown. Le molte ore davanti agli schermi di pc, tv, e tablet, con le loro luci e stimolazioni costanti, affaticano e turbano il cervello almeno quanto l’idea che per strada ci sia un virus pericoloso, talvolta letale, che non riusciamo a debellare.

 

Si sognava, nelle prime due settimane di lockdown, di tornare dai propri genitori, senza le proprie famiglie, come si fosse tornati studenti

Nei primi dieci giorni di lockdown, Il Foglio ha chiesto ad alcuni lettori cosa sognassero. I tratti comuni a quasi tutti i racconti erano due: il riadattamento domestico di alcuni sogni frequenti e il ritorno in vecchie case, specie in quelle in cui si è abitato da bambini. Il correre forsennatamente fuggendo da pericolo (un mostro, un assassino, uno spirito maligno) si spostava in casa, in corridoio o per le scale del palazzo. Il volare senza riuscire a tornare giù si spostava in salotto, con soffitti alti abbastanza da rendere impossibile a chiunque di aiutare il decollato a tornare giù. Si andava a comprare casa perché i prezzi del mercato immobiliare erano diventati prezzi da mercato ortofrutticolo e ci si ritrovava sempre dove s’era vissuti da piccoli, con enorme emozione. Si sognava, nelle prime due settimane di lockdown, di tornare dai propri genitori, senza le proprie famiglie, come si fosse tornati studenti. Gli orfani ci hanno raccontato di aver sognato di rincontrare le proprie mamme e i propri papà a pranzo o a cena fuori, e di avere la loro stessa età; alcuni di comprar loro casa. In molti, sognavano di ricevere visite di passati amori che confessavano loro, sempre piuttosto teatralmente, di non aver mai smesso di volerli; molti altri tornare da ex fidanzati, implorandoli di riprovarci, ricominciare, o di venire arrestati mentre provavano a raggiungerli – lei con quei tulipani dove va; vado a riprendermi la mia donna; non se ne parla, venga qui che la arrestiamo; va bene ma posso almeno fare una telefonata?

 

Tutti sogni desideranti o, come ha scritto la Bbc, di riappropriazione di quelle parti della nostra vita (episodi, persone, spazi) in cui siamo stati bene, felici o quantomeno sereni.

 

Con il passare del tempo, dalla terza settimana di quarantena in poi, l’attività onirica che ci è stata raccontata s’è fatta o più tetra o più sconclusionata, surreale.

 

“Sono in camera da letto e mi accorgo che sulla copertina del libro di Proust che sta leggendo il mio fidanzato, la faccia di Proust è cambiata, ha il doppio mento, gli occhiali da miope del pentapartito, un ciuffo enorme, e io dico ma certo, è diventato omosessuale”. “Sono in una bolla, a tratti liquida e a tratti solida. Voglio ridere e invece piango. D’un tratto sono al mare, mi butto in acqua, nuoto, comincio ad annegare”. “Sono nella mia città con il mio uomo e un suo amico, li porto entrambi a cena, incontriamo due donne che vogliono parlare di sanità e gel igienizzanti mentre io voglio parlare di politica, il mio fidanzato scappa per la noia e lo inseguo, ma mi accorgo che si è buttato in un fiume, mi tuffo per riacciuffarlo, ci riesco, ma non torniamo più a riva”. “Sono in macchina con mia sorella, viaggiamo verso non so dove, a un certo punto ci fermiamo a un casello, vado in confusione perché non ho la certificazione, allora faccio retromarcia per scappare ma tampono un camion che a sua volta tampona un’ambulanza”. “Viaggio con Mina per accompagnarla a fare shopping. La polizia mi ferma e mi chiede cosa intendo comprare, io dico un tailleur sportivo e loro ridono. Mi volto e m’accorgo che Mina è scomparsa”.

 

Allo scadere del primo mese di quarantena, i bei ricordi, le vecchie case ariose e luminose, le vecchie fiamme mai spente, spariscono

Allo scadere del primo mese di lockdown, i bei ricordi, le vecchie case ariose e luminose come nella realtà non sono mai state, le vecchie fiamme mai spente, spariscono. Si sognano le città, specie quelle d’origine, e i soliti negozi sono spariti, le strade non sono deserte ma tristi, i palazzi sono tutti edifici austeri con facciate marroni e lucide. Si sognano i genitori, vivi e morti, con i quali si litiga e dai quali si ricevono rimproveri molto severi se per caso s’è sgarrato restando per strada troppo a lungo e senza mascherina. “Mio padre rimaneva bloccato in Albania ma ci chiamava per dirci di stare tranquilli. Lo stimavo molto. Anche Paolo Sorrentino ci chiamava per dirci di stare tranquilli”. Paolo Sorrentino è un sogno piuttosto frequente. Ben due lettori ci hanno raccontato di aver ricevuto una sua visita perché voleva girare “La Grande Bellezza” nel loro salotto.

 

Il terrore di aver nuociuto agli altri o di aver infranto una regola si manifesta in sogni identici a quelli che facevamo prima, quando ci ritrovavamo in mutande alla discussione della nostra tesi di laurea o fischiati su un palcoscenico, però adesso non è la mancanza di mutande a turbarci e farci sentire nudi, ma ovviamente la mancanza di guanti e mascherine. Gli appartamenti in cui si fa la quarantena cominciano a rivoltarsi contro chi li sogna: le cucine prendono fuoco, le tapparelle non si alzano, le porte non si aprono mentre appena sotto il balcone un vulcano erutta e quindi si deve scappar via, i rubinetti non si chiudono, gli scalini aumentano al passaggio e così le scale non finiscono mai, non portano da nessuna parte.

 

Nessuno sogna di fare sesso. Alcuni sognano di abbracciare Giuseppe Conte, Roberto Burioni, Putin, e lo raccontano con un po’ di imbarazzo. La quinta settimana di lockdown un nostro lettore molto affezionato che insegna in università e deve riprendere le lezioni, l’ha iniziata sognando “qualcuno che aveva scelto una parola di sei lettere e in italiano non ce n’è nessuna di una sillaba sola”. S’è svegliato assai contrariato.

 

Alcuni altri, nella notte di Pasqua, hanno sognato di costruirsi una piscina in salotto, di montare un’altalena in garage, di partorire in balcone, di divorziare, di cantare con Jovanotti sul pianerottolo. Un signore, meravigliosamente, ci ha raccontato di aver sognato che, anziché l’autocertificazione, la sua stampante gli restituiva un maxi ritratto di Sophia Loren. L’Italia che resiste, e s’allevia da sola.

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