Il bestseller di Giulia De Lellis non è male e piace pure alle femministe
Al di là di chi ha gridato all'orrore, "Le corna stanno bene su tutto" è la prova che le influencer fanno bene a pure all’editoria
Roma.“Le corna stanno bene su tutto-ma io stavo meglio senza!”, il libro di Giulia De Lellis (ex tronista di Uomini e Donne, ora influencer) che sta facendo parlare di libri e mercato editoriale e apocalisse e cosa vogliono queste che guadagnano mettendosi in posa su Instagram e rubano il lavoro a noi che abbiamo studiato, Billy Crystal lo avrebbe comprato. In quella scena di “Harry ti presento Sally”, quando dopo anni incontra Meg Ryan che lo credeva felice e sposato e invece lui sta divorziando, ed è in libreria che cerca, nascondendosi, un prontuario, un manuale, qualcosa che lo aiuti a superare il divorzio, sua moglie che se n’è andata dicendogli “non lo so se ti ho mai amato” perché ama un altro. E lo avresti comprato anche tu, o forse lo hai fatto, una delle 53mila copie e passa che De Lellis ha venduto a una settimana dalla pubblicazione è tua, e hai fatto bene, se non ti piace studiare non te ne devi vergognare.
C’è sempre tempo per leggere “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara, dopo aver capito magari come si pronuncia Yanagihara per evitare figuracce con il commesso che ne sa meno di te ma che quando hai comprato De Lellis ti ha guardata come se avessi ordinato un manuale su come occultare un cadavere – o magari sei stata abbastanza furba da comprarlo su Amazon. Il commesso, “Una vita come tante” (Sellerio, bellissimo) probabilmente non lo ha letto, e di certo non ha letto De Lellis, ma per riflesso condizionato un grande bleah gli si dipinge sul volto al solo sentirla nominare. Molti hanno scritto che (orrore!) De Lellis ha scritto un libro senza averne mai letto uno, perché in questo paese crediamo fermamente in due cose: quando atterra l’aereo si deve applaudire, per scrivere si deve leggere. Di tutti quelli che da giorni si interrogano su questo fenomeno editoriale, alcuni aborrendolo, altri temendolo, altri ancora glorificandolo perché i proventi di De Lellis sono talmente ingenti da sanare le casse di un settore che mendica e brancola nel buio, di tutti questi analisti forti e battaglieri, ce ne fosse stato uno che ha letto il libro, così da cercare dentro e non fuori le ragioni del suo successo.
Non che le premesse siano incoraggianti: l’autrice è diventata famosa in una trasmissione trash, e tutte le volte che ha aperto bocca ha sfracellato la lingua italiana, dato prova di non sapere niente di niente, e adesso macina grana truccandosi su Instagram. E cosa dire della storia: il fidanzato la tradisce, e lei racconta lo sconquasso conseguente. Come se non bastasse, non ha neanche 25 anni ed è gnocca, gnocca e basta. Invece il libro non è male.
Come sempre accade, non l’ha scritto lei, ma Stella Pulpo, scrittrice. In certi punti, il bestseller della vergogna è persino divertente, e non c’è ragione di sdegnarsi: frasi come “sono una taglia 34, non ho spazio per tutta questa disperazione!”, “la forza di perdonare è come l’altezza: ce l’hai o no” , “lacrimo ma ho il mascara waterproof” le abbiamo sentite in “Sex and the city”, “Gossip Girl” e “Casalinghe Disperate”; di pagine sull’accettazione del dolore e della debolezza, sull’importanza dell’empatia e delle amiche e dell’amore praticamente identiche a quelle di De Lellis sono pieni libri di autrici rispettabili che scrivono sugli inserti culturali dei giornali e a volte finiscono in classifica e fanno storcere i nasi giusto a qualche blogger antagonista. Certo, nessuna di queste autrici vende quanto De Lellis, e la ragione è semplice: De Lellis la leggono i non lettori, il vero partito di maggioranza del nostro paese. Che c’è di male? Che male fa?
A Candida Morvillo, sul Corriere, Stella Pulpo ha detto d’essere una femminista radicale e di aver accettato di fare questo libro perché “essere femminista significa stare dalla parte di ogni donna”. E i nostri intellettuali, anziché preoccuparsi dello stadio primitivo a cui si trova il femminismo d’accatto che tante carriere sta infiocchettando, si struggono in analisi sul perché venda un titolo bomba come “Le corna stanno bene su tutto, ma io stavo meglio senza”, di una che va in televisione e su YouTube e Instagram ha più pubblico del Tg1. Femminismo è stare dalla parte di ogni donna? Davvero? Ma quello non era il paternalismo assistenzialista? E sì che adesso usa assai difendere le influencer: da quando quel genio di Chiara Ferragni s’è fatta fare il documentario da Elisa Amoruso, regista indie e bravissima, quindi intoccabile, queste ragazze che prima erano reificazione e mercificazione di sé, sono diventate accettabili, ammirevoli, difendibili. Naturalmente, anche da quelle che le usano a travestiti fini femministi, si difendono meglio da sole. Che noia tutto. Tranne il libro di De Lellis, per il quale la brava bravissima è stata Stella Pulpo.
I guardiani del bene presunto