Chiara Ferragni (foto LaPresse)

Motivi per sperare nella laurea per diventare influencer

Antonio Gurrado

Alla fine altro non è che un indirizzo specifico di Scienze della comunicazione, niente che meriti scandalo né brusio. Anzi, è probabile che a lungo andare abbia un effetto positivo sulla professione

Si fa presto a ridere della laurea per diventare influencer, che un’università telematica mette a disposizione dei suoi studenti. Se uno spulcia il piano di studi scopre che – fra esami di semiotica e di organizzazione aziendale, diritto dell’informazione e social media marketing – alla fine è un buon indirizzo specifico di una laurea in scienze della comunicazione, niente che meriti scandalo né brusio. È probabile anzi che questa laurea finisca, a lungo andare, per avere un effetto positivo sulla professione di influencer, ambita da ampie fasce di popolazione proprio perché al momento ha due prerequisiti: non dover sapere niente, a parte come si usano sul serio i social; non dover fare niente, a rigore, se non ciò che è finalizzato ad apparire sui social. Con la laurea per influencer, entrambi i prerequisiti cadono. Andrà magari a finire che i potenziali influencer del futuro, posti di fronte alla prospettiva di diventarlo dopo avere superato esami di sociologia dei processi economici e filosofia del linguaggio, metodologia della ricerca sociale e lingua spagnola, etica della comunicazione e chissà cos’altro, alla fine si dicano: “Sai che c’è? Piuttosto mi metto a lavorare”.    

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