Faccette nere?

Maurizio Stefanini

Il razzismo casereccio e (quasi) indolore degli italiani visto con la pelle di mia moglie. Ma il rischio c’è

Sono razzisti gli italiani? E’ dibattito dopo il doppio caso del marocchino ucciso a botte, della campionessa di lancio del disco azzurra di origini nigeriane presa a uova sull’occhio. Molte cose si dicono, molti studi sono stati fatti, e molti altri ancora si potranno fare. L’autore di queste note sente però di poter dare in proposito un contributo importante, basato su un’esperienza sul campo di prima mano: 25 anni di matrimonio con una “nera”. Tecnicamente una afro-colombiana, di padre colombiano e madre venezuelana. Raccontai sul Foglio come il nostro primogenito si sia fatto uno di quei test genetici per determinare l’origine etnica dal quale è risultato che sua madre sarebbe – più o meno – al 40 per cento africana, al 36 per cento amerindia e al 24 per cento europea. Ma questa, come si direbbe nei libri di Kipling e nei fumetti di Tex, “è un’altra storia”. Il dato è che per l’italiano comune lei è “nera”. Punto. Anzi, al paese di mio padre, a un certo punto ho scoperto che la ritenevano “somala”. Come dire, le guerre in Africa orientale e “Faccetta nera” non sono passare invano.

 

Attenzione, però, questo è un punto importante. In un certo tipo di ambienti rurali che abbiamo frequentato potrà essere capitato a mia moglie di essere presa per somala. Ma mai di essere trattata senza rispetto, simpatia e stima. Detto in termini più brutali: l’italiano della strada potrà pure essere ignorante, ma è di buon cuore. Come il soldatino interpretato da Nino Castelnuovo che in “Tutti a casa” si fa ammazzare per salvare una ragazza ebrea dai tedeschi? “Ma lo sa che io sono ebrea?”. “E che vuol dire, tanto al dunque siamo tutti cristiani!”. Non dirò dunque che in 25 anni non ci siamo mai imbattuti in episodi di razzismo. Ma cose isolate e marginali, contate sulle dita di una mano. Una vicina di casa che una volta le gridò “tornatene al paese tuo” durante una lite di condominio. Una mezzo ubriaca una volta le diede una spinta e la apostrofò in autobus, mia moglie era anche incinta: “Ripetimi quello che hai detto a mia moglie” gridai, lei si voltò, vide i miei 110 chili per 1,80 e il mio sguardo, e si affrettò a chiedere scusa. Un compagno di classe alle elementari una volta disse al mio primogenuto “tua madre è marocchina”. Sua madre lo riempì di botte e poi ci venne a chiedere scusa quasi piangendo. “Calma, è un bambino!”. Metterei in realtà tra i razzisti – ancorché inconsapevoli – i sindacalisti di sinistra con cui tanti anni fa lavorava come psicoterapeuta e che insistevano a dirle “non è possibile che una nera sia così di destra. E’ tuo marito che ti influenza”. Semmai la mia influenza è stata nel moderarla in chiave più centrista. Mi ricordavano molto la storia di quella associazione antirazzista che nei primi anni ’90 propose una bella partita di calcio tra una squadra di italiani e una di “ebrei e extracomunitari”, provocando giustamente le ire delle comunità ebraiche italiane. “Che vogliono dire? Che noi ebrei italiani non siamo italiani?”.

 

Ma questo è più o meno tutto. Sicuramente in un quarto di secolo ho preso più insulti, minacce e auguri di rimanere disoccupato io per i miei articoli che non lei per la sua pelle. Semmai, sono stati più numerosi gli incidenti “razziali” di tipo umoristico. La signora che al mare le disse: “Che bella pelle abbronzata! Che crema usa?”. “Veramente, ci sono nata”. Le persone che quando portava i nostri figli biondi in carrozzina la scambiavano per la babysitter: “Che bambini tenuti bene! La vorrei una bambinaia come lei!”. Illuminante fu sopratutto la volta che in autobus la gente si era messa a inveire contro una coppia di polacchi – biondissimi, ubriachi e molesti. “Basta con questi stranieri!”. Lei sbottò: “Veramente sono straniera anch’io”. Stupore dei passeggeri: “Signora, noi lo sappiamo che lei è dei nostri!”. La definizione di straniero non era dunque “non italiano”, ma “non italiano che dà fastidio e non rispetta le regole”.

 

Quello razzista è dunque un allarme fasullo? Ripeto, finora direi di sì. Però l’allarme sull’immigrazione c’è davvero. Un po’ montato anche ad arte, ma un po’ basato su dati oggettivi. Che dire? Una delle cose che fanno arrabbiare di più mia moglie sono i neri che bighellonano davanti a negozi o parcheggi chiedendo soldi e le si rivolgono con “sorella”. Non è questa la sede per sviscerare tutti i termini di un problema grave e complesso. E’ però evidente che se certi dèmoni si scatenano, il colore della pelle può rapidamente diventare un fattore scatenante di ostilità. E’ vero poi che molti immigrati ormai assimilati alla nostra società sono d’accordo sull’opportunità di fermare l’ondata dei richiedenti asilo: sono spaventati anche loro. Col partito di Salvini è stato eletto il primo senatore “nero” della storia d’Italia. Però, attenzione: anche gli ebrei italiano appoggiarono in grande maggioranza il regime fascista, e il fascismo a lungo si coccolò gli ebrei. Era ebrea Margherita Sarfatti: l’amante e Ninfa Egeria che Mussolini aveva messo alla direzione della rivista ideologica Gerarchia e che di lui aveva scritto addirittura la prima biografia autorizzata. Era ebreo Aldo Finzi: il sottosegretario all’Interno che gestì per conto di Mussolini il delitto Matteotti. Come ricorda Renzo De Felice nella sua “Storia degli ebrei italiani durante il fascismo”, Mussolini appoggiò massicciamente l’ala revisionista del sionismo, al punto da far addestrare alcuni militanti all’Accademia navale di Civitavecchia, su un natante che fu il primo della storia a sventolare la futura bandiera israeliana. Sempre Mussolini nel 1936 fece istituire un rabbinato militare, per l’assistenza spirituale ai soldati ebrei in Africa orientale. Ma due anni dopo fece le leggi razziali Come spiegò al riluttante Vittorio Emanuele III, a lui in realtà degli ebrei non importava niente, né pro né contro: ma in quel momento riteneva un’esigenza politica perseguitarli, per cementare l’alleanza con la Germania nazista. Gente che non era mai stata razzista lo divenne per effetto di un indottrinamento costruito a tavolino. Margherita Sarfatti finì esule in Argentina; Aldo Finzi fu ucciso alle Fosse Ardeatine. Ovviamente, non siano a quei livelli. Assolutamente. Ma forse ricordare certe cose può essere utile proprio per non tornarci mai più.

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