Gli estremisti e noi
L’occidente riuscì a contrastare il fascino “religioso” e spirituale del comunismo grazie ai suoi valori. Oggi la nuova sfida riguarda la nostra soddisfazione profonda
La saldatura fra rigurgito sovranista da un lato e tensione egualitaria dall’altro (che da noi ormai prende la forma dell’uno vale uno) ha ragioni profonde nella storia occidentale, difficili da individuare tutte insieme. Per provare a comprendere come questi due orizzonti apparentemente distanti possano essere arrivati a congiungersi e imporsi, possiamo forse appoggiarci a un libro (in particolare a un suo specifico passaggio) distante dal nostro tempo ma che potrebbe aiutarci a capire quanto sta succedendo.
Il mondo e l’Occidente di Arnold Toynbee, edito da Sellerio, è una raccolta di conferenze tenute dal grande storico inglese nel 1952 su invito della Bbc. A tutta prima, il libro appare come una riflessione sui rapporti, essenzialmente di conquista o quantomeno di scontro, che l’occidente ha avuto con il resto del mondo identificato principalmente con Russia, mondo islamico, India ed estremo oriente. Tuttavia, quello che si può considerare il tema centrale del libro, che lo attraversa spesso sottotraccia, in maniera carsica, è il rapporto tra l’occidente e il comunismo, o meglio, l’utilizzo della tecnologia politica comunista da parte della Russia, in questo caso rappresentante del Mondo, contro l’occidente.
“Un credo può essere uno strumento; e nella nuova ripresa della competizione i russi stavolta gettarono sulla bilancia un credo”
Secondo Toynbee, l’occidente, nel corso della sua storia, è penetrato in quello che definisce “il Mondo”, ovvero tutte le civiltà che erano al di fuori di esso, grazie alla sua tecnologia. E in questo modo l’ha progressivamente conquistato e in seguito assoggettato alla sua cultura e ai suoi costumi. Tuttavia, bisogna precisare, la tecnologia non è solamente qualcosa di strettamente concreto. Infatti, scrive lo storico, “non tutti gli strumenti sono di specie materiale; ce ne sono anche di spirituali, e questi sono i più potenti che l’uomo abbia mai foggiato. Un credo, per esempio, può essere uno strumento; e nella nuova ripresa della competizione fra Russia e occidente, cominciata nel 1917, i russi stavolta gettarono sulla bilancia un credo”, ovvero il comunismo. Continua Toynbee: “Il comunismo è dunque un’arma; e come le bombe, gli aeroplani e i cannoni, è un’arma di origine occidentale. […] In occidente, dove il comunismo era nato, questo nuovo credo costituiva un’eresia. Era una critica occidentale al fallimento in cui era incorso l’occidente nella necessità di attuare i suoi principii cristiani nella vita economica e sociale di questa società che cristiana si professava; e un credo di origine occidentale che costitutiva al tempo stesso un atto di accusa alla prassi occidentale era proprio l’arma spirituale che un avversario dell’Occidente doveva raccogliere e rivolgere contro i suoi forgiatori”.
Lo strumento del comunismo diventava quindi il modo, secondo Toynbee, attraverso cui il resto del mondo trovava il modo per farsi largo verso occidente e portare un attacco contro di esso invertendo potenzialmente l’equilibrio delle forze. E’ importante ricordare che il testo di Toynbee è del 1952, un momento in cui, come ricorda Canfora nella sua postfazione “la rivoluzione comunista aveva appena trionfato in Cina, l’accordo tra Urss e Cina appariva pieno e senza incrinature, il prestigio mondiale di Stalin, unico vincitore della guerra rimasto al potere, era alle stelle; il modello di comunismo sovietico si era esteso a macchia d’olio fino all’Elba e a Trieste, mentre movimenti insurrezionali comunisti o vicini ai comunisti erano all’offensiva in quasi tutti i continenti extra-europei.”
L’occidente ha trovato nella sua storia, nella filosofia, nella scienza le capacità per dare il via al periodo più ricco e pacifico dell’umanità
E infatti Toynbee riteneva che probabilmente l’occidente sarebbe finito per sprofondare all’interno del comunismo così come l’impero romano era progressivamente sprofondato all’interno “di una mezza dozzina di religioni orientali” che erano in grado di rispondere in maniera più efficace alle istanze spirituali che salivano da una società romana matura e sfinita in cui, come scriveva Marco Aurelio nei suoi Pensieri, “un uomo di media intelligenza che sia arrivato a quarant’anni ha provato tutto quello che è stato, che è, che sarà”. Nuove religioni che a Toynbee sembravano così simili al comunismo perché parlavano di “una società nuova in cui non ci sarà né scita né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina ma tutti saranno uno in Gesù, o in Mitra, Cibele, Iside ecc…”.
Il comunismo, a differenza delle religioni che hanno progressivamente inglobato e superato l’impero romano, non ha trionfato. Quindi Toynbee sbagliava? In realtà no. Perché la questione centrale del suo libro, ovvero il comunismo come riempitivo del vuoto generato dal cristianesimo nella sua incapacità di rispondere alle sfide della modernità, e il metodo d’indagine usato da Toynbee, ovvero quello della challenge and response, restano tutt’ora validissime e di estrema utilità. Secondo lo storico, infatti, ogni civiltà nasce ed entra in crisi in base alla sua capacità di rispondere a una sfida (challenge) che si trova a fronteggiare. Questa sfida non è soltanto un pericolo ma un’opportunità attraverso cui crescere, svilupparsi e migliorarsi grazie a una risposta (response) adeguata. Nel momento in cui le civiltà non sono più in grado di rispondere alle sfide che gli vengono di volta in volta presentate dalla storia precipitano e falliscono.
Il comunismo come dottrina politica-economica-sociale, non ha dunque prevalso nella maniera in cui aveva immaginato lo storico inglese. Le cose sono andate in maniera diversa. L’occidente ha trovato nella sua storia, nella sua filosofia, nella sua scienza la forza e la capacità per dare avvio al periodo più florido, ricco e pacifico della storia dell’umanità. Attraverso il capitalismo, i mercati aperti e la globalizzazione ha generato un benessere mai visto prima, per se stesso e per buona parte del resto del mondo. Ha creato e dato strumenti a chi avesse l’opportunità, la voglia e l’abilità per sollevarsi da una condizione di minorità e per poter vivere una vita dignitosa valorizzando se stessi, la propria famiglia, la propria comunità. Questo ha generato maggiore consapevolezza nelle persone, ha portato alla richiesta e all’ottenimento di diritti impensabili fino a pochi decenni prima. Un miglioramento straordinario delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione mondiale. E tutto questo facendo sempre più attenzione all’ambiente circostante, al benessere generale, alle pari opportunità di tutti. Un processo talmente grandioso e positivo da aver fatto gridare alla fine della storia, proprio nel momento in cui il comunismo che secondo Toynbee avrebbe potuto dominare tutto il mondo (uso il condizionale perché Toynbee era uno storico, uno scienziato, non aveva manie profetiche, formulava ipotesi) si sbriciolava nella maniera più evidente e spettacolare.
Il comunismo è lo strumento con cui il resto del mondo cerca di farsi largo in occidente per portare un attacco contro di esso
Eppure, nonostante tutto, oggi siamo in un periodo di riflusso, di reazione rispetto a questo processo. Cosa succede? All’improvviso tutto l’occidente è impazzito, è diventato cieco? Non è in grado di riconoscere, di fronte all’evidenza incontestabile dei dati e nonostante gli inevitabili squilibri di un avanzamento così tumultuoso, l’incredibile progresso economico e sociale? Siamo insoddisfatti, nulla ci sembra abbastanza: né gli smartphone in cui possiamo mettere tutta la musica e tutta la conoscenza del mondo a prezzi abbordabilissimi, né le macchine a bassa emissione, né i viaggi low-cost, né il cibo certificato per qualità e provenienza, né la frutta fresca 365 giorni all’anno, né i condizionatori nelle estati torride, né i riscaldamenti negli inverni gelidi, né tutto quello che ha reso la vita di una famiglia con un reddito medio, o anche medio-basso, migliore di quella di re e regine del passato nei loro splendidi gelidi e puzzolenti castelli privi di ogni comfort e isolati dal mondo.
Ma allora cosa c’è alla base di questa insoddisfazione, di questo lamento perenne che si trasforma in grido e rigurgito di piazza, che diventa isolazionismo, volontà di chiudere le frontiere, di decrescere, di non vaccinarsi, di limitare il progresso e l’avanzamento umano? Di limitare tutto ciò che ha fatto avanzare e migliorare l’umanità in maniera così vertiginosa e pacifica in così poco tempo? Si tratta della solita e naturale invidia dell’uomo? Della sua eterna insoddisfazione che può tramutarsi in rivendicazione violenta e distruttiva? Si tratta di semplice stanchezza e noia di fronte a tutto quello che abbiamo, come bestie sazie che capovolgono il secchio ancora pieno di mangime?
Probabilmente ci sono anche questi aspetti da tenere in considerazione, ma non sono che epifenomeni di qualcosa di più sostanziale, profondo e radicale, ovvero una challenge, per dirla con Toynbee, una sfida epocale alla nostra civiltà, una sfida che viene direttamente dal nostro interno (come era successo con il comunismo) a cui bisogna dare in qualche modo una risposta per poter andare avanti. E la domanda, la sfida, è: dove si va dopo di qui? What’s next, avrebbe detto Steve Jobs se fossimo stati alla presentazione di una delle sue meraviglie Apple? Ma la risposta, in questo caso, non può essere un altro prodotto, o almeno non solo quello. La sfida è l’identità futura, ovvero chi vogliamo essere, chi vorremo essere? L’identità è un processo, non qualcosa di dato una volta per tutte. E allora, cosa stabilisce la direzione di questo processo? Cosa le dà un senso? Pensare che il capitalismo nella sua forma liberale sia in grado di alimentare se stesso in maniera autonoma e inesauribile appare piuttosto illusorio. Determinati traguardi sono un dato di fatto, ma non per questo possono essere replicati all’infinito. Anche perché la domanda che sta alla base è più profonda e spirituale.
Il nazionalismo, il sovranismo, il populismo insieme a nuove forme di egalitarismo che tutto vorrebbero parificare si confondono in una sorta di mistura innaturale e provano a rispondere in maniera flessibile, aderente e costantemente adattabile, ma del tutto contraddittoria e incapace di fornire una direzione, a questo tipo di sfida. Attraverso il sovranismo si cerca di limitare, di porre confini, a un mondo che è diventato enorme per la sua velocità non per le sue distanze (ormai azzerate), senza confini e indefinito, caotico e apparentemente ingestibile. Stupefacente e meraviglioso, ma talvolta spaventoso. Si cerca di creare divisioni per poter capire chi è chi, per potere definire se stessi e gli altri. Attraverso una riedizione della dicotomia amico/nemico si cerca di tornare a dare un senso al mondo, di creare separazioni e distanze per poterci riconoscere in qualcosa. In maniera speculare, e perversamente fraterna, la retorica dell’egalistarismo pretende di rendere tutti uguali senza distinzione di provenienza, di cultura e di tradizioni, di attitudini e di sesso. In un minestrone umano che non ci faccia più sentire soli perché saremo finalmente tutti uguali. E il vero nemico di questi due fratelli difformi è la ragione, ovvero il motore dell’Occidente. Tuttavia la ragione, nella sua grandezza, è brutale. E ha portato, con il suo rigore utilitarista, a eliminare ogni orizzonte spirituale. Questo ci ha lasciato soli e, con un perfetto paradosso, ha generato quei mostri che adesso potrebbero divorarla.
Secondo Toynbee, gli uomini sono impossibilitati a vivere al di fuori di un orizzonte metafisico. Quando ne scompare uno, ne viene sostituito da un altro. Perché questi orizzonti ricomprendono le nostre vite, danno loro un senso. Le religioni non sono soltanto spirituali ma anche laiche/civili. Storicamente, sia il comunismo che il nazionalismo sono state religioni laiche, e tra le più rilevanti, contagiose e temibili. Ma non si può rispondere in alcun modo a una sfida nuova con un metodo vecchio, oltretutto superato e battuto dalla storia. Invece, se c’è un fattore che resta incancellabile dalla storia umana è la tensione spirituale, metafisica, degli uomini che non trova ormai più casa da nessuna parte. Dio è evaporato dall’orizzonte dell’Occidente. Ma con esso sembra essere progressivamente evaporato, al compiersi del grande benessere occidentale, ogni orizzonte, ogni senso e ogni futuro, lasciando spazio soltanto a nuove superstizioni e vecchi ideologismi appena rilucidati. In una sorta di quotidianità perenne priva di profondità temporale.
Dio e ragione. Metafisica e fisica. Fede e scienza. Questi fattori dovrebbero essere in grado di ripensarsi (non dovrebbero certo guardarsi indietro o rimanere abbarbicati a vecchi successi) e reggersi l’uno con l’altro, altrimenti entrambi rischiano di scomparire definitivamente, travolti da un nichilismo infinito. Senza orizzonte spirituale, senza orizzonte di senso a dare profondità alle nostre aspirazioni e ai nostri progetti sembra impossibile resistere al declino tra un urlo e un lamento. Questa, per dirla con Toynbee, appare come la sfida di questo tempo. Come rispondere?
I guardiani del bene presunto