“Il calo demografico sta abbattendo lo status quo politico”

Giulio Meotti

Dall’Est Europa all’Italia, uno studio americano su come la denatalità sta spingendo il vento populista

Roma. Finora veniva sempre evocato un binomio: populismo e prosperità. Uno studioso americano adesso inserisce un terzo elemento, una terza “p” per capire lo sconquasso politico in corso: popolazione. Cosa hanno in comune Italia, Grecia, Spagna, Europa dell’est e Austria? Sono i paesi dove i partiti populisti sono andati finora più forte. Ma secondo Philip Auerswald, docente della George Mason University, questi sono anche i paesi dove più drammatico è stato il tracollo demografico.

  

In un lungo articolo sul New York Times, Auerswald prova a dare una spiegazione nuova, audace, del fenomeno populista. E inizia dall’Italia: “Nicola Gatta, sindaco di Candela nell’Italia meridionale (2.700 abitanti), è disperato nel cercare di invertire due decenni di declino della popolazione e mantenere letteralmente la sua città sulla mappa. Se accetti il suo invito ad andare a vivere lì, ti darà 2.300 dollari. Probabilmente non è una coincidenza che i sindaci delle piccole città italiane stiano facendo offerte simili nello stesso periodo in cui una coalizione populista è sul punto di andare alla guida del governo italiano”. Secondo Auerswald, “il passaggio dalla crescita della popolazione mondiale al suo declino sta emergendo come una delle forze meno valutate che invece, insieme all’urbanizzazione e alla distruzione digitale, abbatte lo status quo politico ed economico. Nelle più grandi città del mondo, dove le popolazioni sono densamente concentrate e in crescita, le economie sono generalmente fiorenti e il cosmopolitismo è abbracciato. Dove le popolazioni si restringono, di solito nei luoghi rurali e nelle piccole città, le economie sono spesso stagnanti e il populismo vende”.

 

L’intuizione di Auerswald è stata ripresa dal mensile Atlantic sotto il titolo: “Come il crollo della natalità alimenta il populismo”. Perché i partiti antisistema esercitano un simile fascino in questi posti? “Perché promettono di ripristinare la statura economica e culturale della ‘gente comune’ contro un’intellighenzia urbana decadente. La tendenza al declino della popolazione, scatenata da una diminuzione massiccia dei tassi di fertilità a partire dagli anni Sessanta, è stata spinta in misura significativa aumentando la prosperità e la durata della vita. Man mano che le persone diventano più ricche, vivono più a lungo e si trasferiscono in città, il tasso generale con cui producono i bambini tende a diminuire”. Ma Auerswald avverte: “Se stai leggendo questo e vivi in una delle cinquecento maggiori città del mondo, probabilmente hai poca consapevolezza personale dell’imminente inizio del declino della popolazione mondiale”. E fa l’esempio della città di Clarksburg, nel Maryland, “che un tempo era un importante produttore di vetro e che ha perso gran parte della sua capacità produttiva, comprese le persone, passando da 30 a 16 mila persone”.

 

La maggior parte dei paesi industrializzati avanzati sono dominati da due movimenti politici in competizione. “Un movimento che esalta i valori di città dense e interconnesse: interdipendenza, internazionalismo e ‘diversità’. L’altro movimento esalta le virtù delle aree rurali: l’autonomia e la comunità”. Alle presidenziali degli Stati Uniti come al referendum sulla Brexit, le città hanno votato Democratico e Remain. L’Europa orientale, baluardo populista, è la più esposta alla “bomba demografica” della denatalità. La popolazione di quattro stati (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) entro la metà del secolo calerà di 10-12 milioni. Il Financial Times l’ha definita “la più vasta perdita di popolazione nella storia moderna”. Tre giorni fa il capofila dei populisti, Viktor Orbán, alla radio ha persino detto che “il liberalismo è la causa del declino demografico”. Stesso scenario in Grecia, dove le morti da anni superano le nascite, e poi in Spagna e nelle regioni tedesche che hanno tirato la volata ai populisti dell’AfD. E’ una fatiscenza demografica prima che politica.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.