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Il suicidio del bel paese

Giulio Meotti

Parla Blangiardo: “Presto caleremo a 400 mila nascite”. Istat: “Mai così pochi bimbi dall’Unità d’Italia”

Roma.L’Italia sta morendo” ha commentato ieri il Forum delle associazioni famigliari. In nove anni, l’Italia ha perso 120 mila nuove nascite all’anno, pari a una città delle dimensioni di Bergamo.

  

Successe tutto all’improvviso. Nel giro di pochissimi anni, la storia demografica dell’Italia cambiò. Prima il repentino baby boom di quei fantastici anni Sessanta (dalle 910 mila nascite del 1960, al picco del milione e 16 mila nel 1964), poi l’inesorabile declino: 901 mila bambini nel 1970, 640 mila nel 1980, 567 mila nel 1989. Vent’anni dopo siamo scesi a 458.151 bambini, “nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia”, si legge nell’ultimo Bilancio demografico nazionale redatto dall’Istat sul 2017.

    

Ma la nostra “crescita attuale” è come la luce delle stelle molto vecchie, vediamo l’effetto di fenomeni che non esistono più, “drogati” dall’immigrazione. L’orologio demografico non batte più al rallentatore, si è proprio fermato. Nel 1993 ci siamo ritrovati con duemila italiani in meno. Nel 1994 il saldo negativo è arrivato a quota novemila e per il secondo anno consecutivo ci sono stati più funerali che battesimi. Nell’ultimo anno, la popolazione è crollata di 105.472 unità rispetto all’anno precedente, dovuta al calo della popolazione italiana (202.884 residenti in meno), mentre la popolazione straniera aumenta di 97.412 unità. Il saldo naturale è positivo per i cittadini stranieri (quasi 61 mila unità), mentre per i residenti italiani il deficit è drammatico e pari a 251.537 unità. I decessi sono stati quasi 650 mila, 34 mila in più in un solo anno. Il movimento migratorio fa registrare un saldo positivo di 188 mila unità, in aumento rispetto all’anno precedente. Il primato per gli stranieri, in termini assoluti, va alle regioni del nord-ovest con 1.727.178 residenti, ovvero il 33,6 per cento di stranieri.

   

Ogni anno perdiamo nascite, è folle, un record nuovo ogni volta”, dice al Foglio il professor Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia presso l’Università di Milano Bicocca. “Sembra un paese che non sia più in grado di autosorreggersi. Ci sono 200 mila morti in più delle nascite. E anche un’immigrazione a livelli più normali, non come qualche anno fa, non sopperisce il crollo. A questi ritmi, in quattro, cinque anni, scenderemo a 400 mila nascite, che è il record negativo che l’Istat aveva previsto fra trent’anni. I nuovi dati ci dicono che ci arriveremo molto prima. E le morti arriveranno a 800 mila ogni anno. Significa che ogni anno perderemo 400 mila persone. Trovo drammatico che il numero delle morti proceda a zig-zag. Le foglie secche cadono e si riformano, e poi ricadono. Sembra un paese che ha perso i fondamentali e che non sia neppure interessato a ritrovarli”.

 

  

A Milano, la seconda città d’Italia e cuore della sua crescita economica, ci sono più cani che nuovi nati. Il capoluogo lombardo ha perso metà delle nascite in dieci anni, passando da 17 mila nel 2006 a meno di diecimila nel 2017. L’età media della popolazione fa dell’Italia il paese più vecchio al mondo (con 168,7 anziani ogni cento giovani al 1° gennaio 2018), insieme a un tasso di natalità tra i più ̀ bassi del pianeta, una delle età pensionabili più basse d’Europa e il più alto rapporto tra spesa pubblica per la sicurezza sociale e pil del mondo occidentale. L’Italia è inoltre un paese in cui le pensioni rappresentano un terzo di tutta la spesa pubblica e in cui la percentuale dei pensionati rispetto ai lavoratori passerà dal 37 per cento di oggi al 65 per cento nel 2040 (da 1 su 3 a 2 su 3).

  

Nel 1974 la casa editrice francese Gallimard pubblicò un libro dello studioso Pierre Chaunu. Si intitolava La peste blanche. Sottotitolo: come evitare il suicidio dell’occidente. “Il giorno prima, la città sembrava felice” si legge nell’introduzione del libro, il primo che decifrò un fenomeno nuovo, senza precedenti, ovvero il collasso demografico dei popoli più ricchi, in pace e liberi della storia. Sembra il ritratto dell’Italia del 2018. “Il giorno dopo la catastrofe è lì, impensabile, e il tragico diventa ordinario. Uomini e donne abbandonano le loro speranze e i loro sogni. Molte persone si schierano dalla parte della rassegnazione. Si chiudono in casa, si prendono cura della loro biancheria e del loro corpo, sperando che un giorno la maledizione scomparisse all’improvviso come era arrivata. E’ la peste bianca, una delle più subdole che il mondo abbia mai conosciuto. Nessun cadavere di topo aveva annunciato il suo arrivo”. E’ una peste che non riempie i cimiteri, ma che svuota i reparti di maternità.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.