Il coronavirus e il “catastrofico errore” di San Marco in Lamis

Luca Roberto

Nel paese in provincia di Foggia 87 persone in quarantena e 4 positivi. Il tutto per la sbagliata gestione del caso di uomo morto dopo essere rientrato, infetto, dal nord. E il presidente e assessore alla Sanità, Michele Emiliano, evoca già la catastrofe

Lo scorso 25 febbraio il premier Giuseppe Conte ha annunciato che, da quel momento in poi, per tutto il territorio nazionale ad eccezione delle zone rosse le procedure per affrontare l'emergenza coronavirus sarebbero state uniformate. Motivo? Un ospedale, disse Conte, non avrebbe “rispettato determinati protocolli, favorendo la nascita di uno dei focolai che ora cerchiamo di contenere con misure draconiane”. Quell'accusa velata rivolta all'Ospedale di Codogno era quasi valsa un frontale istituzionale: il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana aveva definito le parole di Conte “inaccettabili”, e l'assessore lombardo alla Sanità Giulio Gallera era arrivato a parlare del presidente del Consiglio come di “un ignorante”. In quel momento neanche il premier in persona si aspettava che a distanza di pochi giorni un nuovo caso di gestione protocollare dell'emergenza quanto meno discutibile potesse interessare il posto in cui 36 anni fa andava al liceo: San Marco in Lamis.

 

Mercoledì il governatore della Puglia Michele Emiliano è stato il primo a parlare di un “catastrofico errore” commesso nella gestione di un caso di contagio nel nord della regione. Il 3 marzo sono stati celebrati a San Marco in Lamis, comune di 13 mila anime sul promontorio del Gargano, i funerali di un 74enne deceduto il 27 febbraio. Le condizioni dell'uomo, che era diabetico e soffriva di una lieve cardiopatia, si sono aggravate repentinamente. Ricostruendone i trascorsi recenti, si è scoperto che dal 2 al 16 febbraio aveva fatto visita alla figlia, residente a Cremona, e una volta tornato in Puglia aveva cominciato a risentire di sintomi come spossatezza e difficoltà respiratorie. Si era allora rivolto al medico di fiducia, e dopo l'accertamento dei primi casi di contagio in Lombardia, la famiglia aveva allertato l'Asl e il numero d'emergenza predisposto dalla protezione civile per comunicare che l'uomo era appena rientrato da quella che di li a poco sarebbe diventata una “zona gialla”.

 

Se questa storia è diventata d'interesse pubblico è perché si è scoperto, solo a distanza di 5 giorni dalla data del decesso, che l'uomo era affetto da nuovo coronavirus, un accertamento reso ufficiale solo dopo che alla famiglia era già stata concessa la disponibilità ad allestire e celebrare veglia funebre, camera ardente e funerali pubblici. È questo il fulcro della vicenda. “Per un motivo veramente inspiegabile il permesso è stato dato in via anticipata. È chiaro che di fronte a un catastrofico errore del medico legale di questo tipo, qui non c'è rimedio” ha spiegato Emiliano, sollevando dalla responsabilità sindaco, direttore dell'Asl e uffici di prevenzione. La figlia del 74enne ha raccontato altri dettagli in un'intervista a Foggia Today: “Domenica sera ci era stato detto, telefonicamente, che al 99% il test era negativo; quindi è stato dato il via libera alla riconsegna della salma e l’autorizzazione ai funerali. Placet cartaceo firmato e consegnato ai necrofori che hanno gestito il tutto".

 

L'uomo, che era in pensione e aveva lavorato come funzionario nell'Asl locale, era molto conosciuto e al rito funebre, celebrato nella chiesa “La Collegiata” di San Marco in Lamis, hanno partecipato circa 200 persone (è difficile, invece, fare una stima esatta di quante visite abbia ricevuto nell'ostensione all'interno delle mura domestiche, dov'è rimasto per diverse ore). Oltre a 4 persone risultate contagiate dopo un'esposizione diretta con il 74enne, altre 87 sono state poste in quarantena domiciliare e di queste non si conosce né il numero dei tamponi sottoposti né degli eventuali riscontri. Il giornale locale l'Attacco ha scritto che tra i partecipanti al funerale ce ne fossero anche di provenienti da Cremona, dove l'uomo ha per l'appunto dei parenti, ragion per cui l'identificazione di tutti i soggetti coinvolti sarebbe ancora in fase di completamento. L'Asl di San Severo, in cui l'uomo è stato trasportato la sera del 27 febbraio, a decesso avvenuto, ha dato inizio a un'indagine interna per accertare le responsabilità. Una parte delle informative raccolte anche dalle forze dell'ordine sono confluite al procuratore capo di Foggia Ludovico Vaccaro, che ha deciso di aprire un fascicolo a carico di ignoti per il reato di epidemia colposa. Per evitare qualsiasi ulteriore rischio sono state vietate le esequie dell'altro deceduto per Covid-19 nella provincia, un 76enne residente a Peschici e in cura presso l'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

 

Lo stesso Emiliano, constatata una diffusività al contagio “difficilissima da regolare senza misure estreme”, aveva richiesto al governo l'istituzione di una zona rossa, al pari delle omologhe lombarde e venete. Questa soluzione avrebbe, cioè, consentito di controllare ingressi e fuoriuscite dal comune di San Marco per evitare che soggetti potenzialmente contagiati si muovessero senza alcun vaglio, ma a ora è rimasta un'ipotesi (contro cui si è schierato lo stesso sindaco, Michele Merla). Una condotta improntata all'attendismo che ha finito per ingenerare insicurezza nella gestione dell'emergenza a livello provinciale, perché persino le strutture sanitarie, riferiscono fonti locali al Foglio, non sanno quali precauzioni adottare nei confronti dei pazienti provenienti dall'area interessata.

 

Seconda una bozza del disegno di legge che il governo ha in cantiere per potenziare la risposta all'emergenza sanitaria, nel testo vi sarebbe anche la possibilità di commissariare la Sanità di una singola Regione nel caso in cui si mostrasse particolarmente inerte. Il governatore Emiliano ha da subito scaricato le responsabilità della vicenda su una decisione individuale, ha accentrato tutta la comunicazione delle strutture ospedaliere e ha smesso di dare aggiornamenti sull'evoluzione del caso. Certo è che nel caso in cui davvero fosse necessario istituire una nuova zona rossa, sarebbe difficile sostenere che il nuovo protocollo abbia funzionato meglio che nel caso di Codogno.