G7 a Hiroshima (Ansa)

La guerra e il dopo

Il silenzio delle armi in Ucraina non normalizzerà i rapporti con Mosca

Vittorio Emanuele Parsi

L’occidente ha deciso un sostegno e un’integrazione strutturali di Kyiv, che andrà ben oltre le contingenze belliche: la strategia prevede l’ancoraggio permanente del paese di Zelensky a Nato e Unione europea

La Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina che si è tenuta a Londra rappresenta qualcosa di più e di diverso dalle tante iniziative simili alle quali abbiamo assistito per vent’anni e che riguardavano l’Afghanistan. In quei casi, la sfilata dei “donors” cercava di dimostrare una solidarietà economica verso il paese centroasiatico che era però ben poca cosa rispetto all’impegno militare massiccio – diretto e indiretto – profuso per consolidare le sue fragili istituzioni. Nel caso ucraino le cose sono sensibilmente diverse. La conferenza ha voluto chiarire un punto molto netto: l’impegno per sostenere l’Ucraina non sarà limitato alle contingenze belliche. Proseguirà ben oltre la fine del conflitto e la strategia prevede l’ancoraggio permanente dell’Ucraina all’occidente e alle sue istituzioni, a cominciare da Nato e Unione europea. 

 

Per quanto riguarda quest’ultima, il vertice dei ministri degli Esteri dell’Ue che si è tenuto giovedì a Stoccolma fornirà segnali sullo stato dell’arte. Ma nonostante l’intralcio dell’Ungheria di Viktor Orbán – sempre bene attento a offrire una sponda a Mosca – la strada appare tracciata. Non si tratta di “se”, ma di “quando”, ha affermato Ursula von der Leyen, da sempre paladina del più ampio sostegno a Kyiv e della massima fermezza nei confronti di Mosca, che infatti ha poi ribadito che “i russi dovranno pagare le riparazioni di guerra”. E’ talmente importante aver stabilito un orizzonte temporale di lungo respiro e la strada dell’integrazione strutturale dell’Ucraina nel mondo libero da consentire di mettere nella giusta prospettiva i risultati attesi della controffensiva ucraina. Quest’ultima procede molto lentamente – “non è un film di Hollywood” ha precisato Volodymyr Zelensky – e le Forze armate di Kyiv devono guardarsi dalle manovre diversive intraprese dai russi in diversi settori del fronte. 

 

Come spesso è stato ripetuto, il campo di battaglia è importante, sicuramente è decisivo che l’Ucraina abbia resistito, continui a farlo e possa procedere alla riconquista di una porzione più o meno ampia del suo territorio. Così come è fondamentale che l’appoggio militare occidentale continui e sia incrementato.  Ma il “whenever it takes” pronunciato rispetto al sostegno all’Ucraina, attraverso l’impegno per la sua “ricostruzione tramite inclusione” acquista un respiro ben maggiore. E’ un’ottima notizia per l’Ucraina. E non è un caso che in contemporanea con la conferenza londinese filtrino le prime aperture ucraine sul fatto che, forse, non sarà possibile riconquistare militarmente tutti i territori occupati dai russi dal 2014 a oggi. Comunque l’Ucraina non recederà dalla sua volontà di legarsi a Nato e Ue, trovando, finalmente, un’accoglienza ben disposta e un impegno concreto alla sua difesa e ricostruzione.

 

Tra il restare formalmente integra e indipendente ma come vassallo di Mosca e il correre il rischio di doversi battere per mantenere un’Ucraina libera ancorché, magari, a prezzo di potenziali amputazioni territoriali, il popolo ucraino ha scelto una prima volta nel 2014 e una seconda nel 2022. E’ decisivo che i governi che sostengono il presidente Zelensky proteggano questa scelta e non vanifichino un così eroico sacrificio. L’impegno alla ricostruzione dell’Ucraina tramite la sua inclusione permanente, strutturale e istituzionalizzata nel mondo libero segna la definitiva sconfitta del piano criminale di Putin e l’impossibilità del raggiungimento dei suoi obiettivi di guerra. Si tratta di una sconfitta politica epocale per le ambizioni di restaurazione imperiale del despota del Cremlino, che renderebbe vana persino l’eventuale perpetuazione dell’occupazione militare di porzioni di devastato e disabitato territorio ucraino. Questo chiarisce anche l’ambito della ricerca della tanto evocata via diplomatica, che non passerebbe per nessuna impossibile riconciliazione tra l’Ucraina e la Russia – e neppure tra l’occidente e la Russia – ma al massimo potrebbe concedere una soluzione armistiziale accompagnata, appunto, dalla piena inclusione dell’Ucraina nell’occidente. Un aumento del denominatore che renderebbe ben più piccolo il valore del numeratore, per così dire. Siamo ancora lontani, probabilmente, dal conseguimento di un simile obiettivo, ma mi pare che la strada si inizi a intravedere, ed è l’unica alternativa possibile a un prolungamento indefinito del conflitto. Ovviamente, la scelta spetta agli ucraini, che difendono la propria patria invasa. 

 

La seconda implicazione è che, fintantoché Vladimir Putin resterà al potere, l’Europa dovrà dotarsi di strumenti militari meglio in grado di dissuadere Mosca da ulteriori avventurismi e, soprattutto, di una capacità politica di farli pesare e, se necessario, impiegarli con tempestività e coesione. Questo è forse il punto cruciale che deve essere chiarito alle nostre opinioni pubbliche: il silenzio delle armi in Ucraina non segnerà alcuna normalizzazione dei rapporti con la Russia, né ci traghetterà verso un mondo (illusoriamente) sicuro come quello in cui credevamo di vivere prima del 2022. Attrezzarsi perché il costo della nostra impreparazione militare non lo debbano pagare le future generazioni, in termini di libertà, è il compito di una classe dirigente responsabile e degna di questo nome.
 

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