L'INTERVISTA

Il vicepremier ucraino Fedorov ci racconta come ha organizzato “la guerra più tecnologica della storia”

Cecilia Sala

Le parole del più giovane del governo Zelensky e quelle dei sopravvissuti di Kherson. I ragazzi sul fiume, tra industriali, droni e un premio

Kherson, dalla nostra inviata. “Ormai abbiamo un’esperienza unica, ma abbiamo molte più idee in testa di quelle che avete già visto sul campo. Questa è la guerra più tecnologica della storia, la nostra scommessa è che la tecnologia stia dalla parte degli ucraini liberi e non di Vladimir Putin”, dice al Foglio Mykhailo Fedorov, classe 1991, faccia da adolescente e spalle larghe, vice primo ministro ucraino con delega all’Innovazione digitale e il più giovane del governo Zelensky. E’ un millennial con un passato da imprenditore del settore cresciuto tra gli sviluppatori di videogiochi e le startup di Kyiv; ha messo insieme le competenze di tutti, degli industriali e del ministero della Difesa, poi è andato nelle università a pescare gli studenti più brillanti e sulle piattaforme a scovare alcuni hacker adolescenti e speculatori in criptovalute ucraini che sono piccole star planetarie nel loro campo: “Il salto veloce che ha reso il nostro esercito quello con il programma di droni più avanzato del mondo – un team dedicato per ogni brigata – è stato un lavoro di squadra a cui hanno partecipato persone molto diverse, persone che con le armi non avevano niente a che fare, gente che prima di questa guerra probabilmente non si sarebbe mai incrociata, industriali e ragazzini”. 

 

Fedorov chatta con Elon Musk (e verso di lui non ha mai provato rancore: “I suoi satelliti Starlink per rimanere connessi a internet in qualsiasi circostanza sono stati game changer a nostro favore”) e l’ultimo fine settimana lo ha trascorso con Eric Schmidt, l’ingegnere di software miliardario ex amministratore delegato e presidente di Google. Fedorov ha messo in palio un premio da un milione di dollari per il team di ingegneri che riesce a inventare un drone capace di distruggere in volo quelli iraniani Shahed usati da Mosca contro le città ucraine. Due giorni fa, su richiesta di Fedorov, il presidente Zelensky ha firmato un decreto in cui c’è scritto che chi importa componenti utili per produrre velivoli robot non deve pagare le tasse alla dogana. Soprattutto, Fedorov ha avviato il programma di droni autoctoni che in pochi mesi ha messo Kyiv nelle condizioni di colpire fino nel centro di Mosca e che, in Ucraina, si usano per salvare vite. A Kherson, dove il fango è ancora alto mezzo metro e i pompieri che lavorano per aiutare gli sfollati muoiono sotto le bombe russe sparate dall’altra sponda del Dnipro, c’è un gruppo di ragazzi sulla riva di una rientranza del fiume che armeggia con dei piccoli droni quadricotteri, degli imballaggi di polistirolo e delle taniche d’acqua. Nei primi giorni dell’inondazione seguita all’esplosione della diga di Nova Kakhovka, hanno usato i droni per indicare agli ucraini nei villaggi sommersi sulla sponda occupata la strada verso un punto asciutto su una collinetta. 

 

“Noi muovevamo i droni che hanno una bandiera ucraina gialla e blu dipinta sulla pancia e le persone si fidavano, li seguivano, così le abbiamo accompagnate fuori dall’acqua prima del picco, quando il livello del fiume è salito fin sopra i tetti delle case che i russi non avevano evacuato. Qualcuno dei nostri quadricotteri viene abbattuto dai soldati di Mosca, ma altri riescono a portare a termine la missione e tornare da noi intatti”, dice il più giovane mentre sta seduto e fa delle prove per vedere se la cassa di bottiglie che ha legato al suo drone è troppo pesante oppure riesce a sollevarla e volare. Alcuni di quelli più complessi e costosi del programma di Fedorov si chiamano “vampiri” e sono stati temporaneamente convertiti all’uso civile, sottratti al campo di battaglia e utilizzati per portare acqua potabile nelle isolette occupate nel delta del fiume dove l’acqua corrente è diventata velenosa dopo il crollo della diga. I droni vampiro che volano oltre la linea del fronte li muovono gli agenti dell’Sbu, i servizi segreti interni di Kyiv. 

 

Svetlana Golubcova, che viveva a Krynky – il terzo villaggio sulla sponda occupata partendo da Nova Kakhovka e seguendo il corso del Dnipro – dice che nel suo appartamento, all’alba del giorno del disastro, c’era già quasi un metro d’acqua e quello dopo più di due. Fino ad allora attraversare la linea di confine tra i due eserciti le era sembrato, a ragione, troppo pericoloso. Ma adesso è rimasta senza una casa, un’automobile, una coperta, senza acqua potabile e nessuno che la aiuti – “i russi non avevano nessun piano per noi, non hanno nemmeno dato l’allarme per dirci di andarcene prima di annegare”: dopo l’esplosione della diga scappare le è sembrata l’unica scelta possibile e nel viaggio che l’ha riportata nei territori controllati da Kyiv è stata fortunata. Gli ucraini dicono che nel villaggio occupato e sommerso di Oleshky potrebbero esserci cinquecento morti e che si stanno organizzando per andare a cercare i cadaveri con i droni, “perché i russi non lo faranno”.