Roma Capoccia
Per chiudere il carcere di Regina Coeli a Roma servono 75 milioni
Il Pd propone di chiudere l'istituto penitenziario, Nordio è d’accordo ma l’ex provveditore Carmelo Cantone spiega: “E' quello che bisogna fare, ma ci vogliono i soldi”
“Nel cuore della città, circondata dal traffico del Lungotevere e dalle alture del Gianicolo c’è una topaia dove vivono ammassati come bestie 1.200 uomini in attesa di giudizio. È ridotto cosi, ad un vergognoso grumo di illegalità, quell’antico monastero del Cinquecento trasformato poco più di cent’anni fa nel carcere di Regina Coeli”. Iniziava così il pezzo di apertura della cronaca di Roma dell’Unità del 17 dicembre 1994. L’allora ministro della Sanità Raffaele Costa aveva appena visitato il carcere e n’era uscito sbigottito e con un’idea sintetizzata bene dal titolo dell’articolo: “Così è una topaia chiudo Regina Coeli”.
A quasi 29 anni da quel giorno la situazione del carcere – costruito dai detenuti stessi nel 1881, disossando completamente l’interno, ad eccezione delle mura perimetrali, la struttura interna dell’ex convento – non è cambiata. A fronte di una capienza di 628 posti i detenuti ospitati, circa la metà in attesa di giudizio, sono 1.007 (dati del ministero della Giustizia aggiornati al 30 giugno 2023), oltre un terzo in più di quanto la legge prevedrebbe. Ma non è solo questione di sovraffollamento (problema che riguarda tutta Italia con 58.428 detenuti a fronti di 51.206 detenuti posti nei 189 istituti di pena sparsi per la penisola). Nei primi sette mesi del 2023 a Regina Coeli ci sono stati tre suicidi, altrettanti erano stati quelli avvenuti nel 2022. Per numeri, vetustità della struttura e condizioni igienico sanitaria, Regina Coeli detiene, insieme a Napoli Poggioreale, il primato di peggior carcere d’Italia.
Anche per questo i consiglieri capitolini del Pd, capeggiati in questa battaglia dalla consigliera e avvocata Cristina Michetelli, hanno redatto una mozione chiedere al sindaco Roberto Gualtieri di convincere il ministro Carlo Nordio a chiudere il carcere. Ancora prima del voto in aula Giulio Cesare il ministro ha fatto sapere di essere favorevole. “Se Nordio è d’accordo, sappia che c’è un impegno trasversale”, dice Michetelli. Ma tra il dire il fare c’è uno iato di milioni di euro. “Almeno 75”, spiega al Foglio Carmelo Cantone, ex direttore di Rebibbia nuovo complesso, provveditore in Lazio, Abruzzo e Molise e vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria fino al 2022. “La proposta di chiudere Rebibbia è senz’altro giusta”, premette. “Non c’è neanche bisogno di scomodare l’Europa o le convenzioni internazionali per capire che un carcere che è stato costruito nel 1881 non può rispondere a standard anche solo decenti sia per chi ci vive, sia per chi ci lavora. Anche riducendo i numeri, gli standard di vivibilità sono modesti, non ci sono spazi per fare nulla: né laboratori, né cortili di passeggio, né campi sportivi. Nonostante il grande sforzo di chi ci lavora per rimodulare gli spazi i cortili rimangono delle ‘fette di formaggio’ dove non si può nemmeno giocare a pallone. Inoltre – prosegue –, la vicinanza con gli altri edifici ha costretto a installare nelle celle le cosiddette ‘gelosie’, strutture di metallo che impediscono i contatti tra i detenuti e l’esterno”. Chiudere Regina Coeli insomma è una priorità assoluta. Ma visti i numeri di Roma – anche Rebibbia è sempre sovraffollato – per farlo serve una nuova struttura. Costo stimato: 75 milioni. “Anche senza essere carcerocentrici – dice Cantone – sarebbe questa l’unica soluzione. Mettendo allo stesso tavolo tecnici, operatori penitenziari e società civile, si potrebbe fare una nuova casa circondariale all’avanguardia”. E però? “E però questi fondi non ci sono”, ammette sconsolato l’ex provveditore. “Se il ministro ci crede il mondo del carcere sarà con lui, ma servono i soldi e subito perché i tempi sono lunghi, anche con procedure straordinarie, basti pensare solo alla difficoltà di scegliere l’area”. Eppure un’opportunità c’è stata. “Con il Pnrr ma le risorse per le carceri, 84 milioni, sono state destinate a all’ingrandimento di altre otto strutture”.
E d’altronde a chiudere Regina Coeli ci hanno provato, invano, già in tanti. Dopo Costa nel ‘94, più di recente un tentativo l’ha fatto Andrea Orlando. Era il 2016. Si prevedeva la cessione a Cassa depositi e prestiti che in cambio avrebbe costruito il nuovo carcere. Di quel progetto però non si è saputo più nulla. Su Regina Coeli ci sono state anche delle resistenze corporative. “Non nascondiamoci dietro a un dito – ricorda Cantone – al mondo forense e alla magistratura un carcere a un passo dal tribunale di piazzale Clodio e dagli uffici professionali ha sempre fatto comodo per interrogatori e colloqui, ma oggi con il digitale si potrebbe evitare anche l’andirivieni”.
Tutte queste difficoltà hanno invece convinto Valentina Calderone, garante dei detenuti di Roma, che la chiusura totale possa non essere la soluzione. “In linea di principio – dice – anch’io sono per la chiusura, ma temo che i tempi per una nuova struttura sarebbero lunghissimi, è meglio ridurre l’utilizzo della carcerazioni, con numeri ridotti, 300 detenuti ad esempio, il problema si potrebbe risolvere, lasciando un carcere in centro che permette di non relegare, anche geograficamente, l’argomento ai margini della città”.
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