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Roma capoccia

Freud a Roma, come la città influì sull'opera psicanalitica

Andrea Venanzoni

Dalla interpretazione dei sogni alla crisi della civiltà. La capitale eserciterà un potere liberatorio sul padre della psicanalisi potenziando la lucidità espressiva nelle sue opere

Se una storia d’amore è prima di tutto una storia di fantasmi, l’amore che Sigmund Freud ha nutrito per la città di Roma sembra trascendere quel senso quasi mistico di martirio che popola ogni ossessione d’amore. Vagheggiamento onirico, sofferenza nel non riuscire a spingersi fino alla realizzazione di quel profondo, insondabile desiderio, Roma per il giovane Freud rimase a lungo un punto interrogativo intermittente e nebbioso, incastonato come elsa di spada nella roccia del suo subconscio.


In una lettera all’amico Fliess, il padre della psicoanalisi annota, “il mio desiderio di andare a Roma è profondamente nevrotico. E’ legato all’infatuazione che nutrivo al ginnasio per l’eroe semita Annibale’. Freud legherà, come ha rilevato Massimo Ammaniti, la sua passione per il mito di Roma a due personaggi storici, principalmente. Il già citato condottiero cartaginese, a cui sentiva di essere legato oltre che per la comune radice ebraica anche per il non essere riuscito a raggiungere la città eterna, e al maresciallo francese Massena, anche questi ritenuto da Freud di origini ebraiche. “Una volta sognai di vedere il Tevere e il ponte Sant’Angelo dal finestrino della carrozza, poi il treno si mette in moto e mi accorgo di non essere neppure sceso in città. Il panorama visto in sogno era preso da una nota stampa che avevo scorto fugacemente il giorno prima nel salotto di una paziente. Un’altra volta qualcuno mi portò su una collina e m’indicò Roma, semi avvolta nella nebbia e ancora così distante”, e in questo appunto Freud sembra incarnare la pastosità cromatica dei dipinti che Carl Gustav Carus ha dedicato a Roma.


Ma a differenza del suo idolo nordafricano, Freud visiterà Roma. E lo farà per ben sette volte, a partire dal 1901. La prima visita, come in ogni amore per troppo tempo voluto e atteso, è piuttosto deludente. Il Tevere, immaginifico oceano d’oro e di storia, si srotola come un piccolo festone scurito, sotto un cielo plumbeo e nella sciatteria della folla vociante dipanata lungo le due ali degli argini. La città è caotica, tumultuante, le donne belle, soprattutto le romane e assai meno le copiose straniere che si perdono lungo i vicoli del centro, nota Freud, ma l’arte, il peso delle rovine finiscono con lo schiacciarlo.

Freud si ritrova a girovagare come un comunissimo turista. Mangia risotto nelle taverne cittadine, va persino, ce lo ricorda una cartolina del 1901, a infilare la mano nella ferita longitudinale della Bocca della Verità, promettendo che sarebbe tornato. Le successive sei visite sono più fruttuose e più intense. Meno sopraffatto dalla città e dal suo peso psicologico e mitografico, Freud si confronta con la bellezza di San Pietro, come era già stato per Nietzsche e come sarà per Musil, con gli affreschi, i dipinti, le antiche rovine turrite che si stagliano lungo tramonti carnicini, la grandezza delle opere di Michelangelo, con il quale, in uno specchiato gioco di rimandi psichici, finisce con l'identificarsi. “Nessuna altra scultura ha mai esercitato un effetto più forte su di me… Sempre ho cercato di tener testa allo sguardo corrucciato e sprezzante dell’eroe, e mi è capitato qualche volta di svignarmela poi quatto quatto dalla penombra di quell’interno, come se anch’io appartenessi alla marmaglia sulla quale è puntato il suo occhio”, scrive Freud in uno studio sul “Mosè” di Michelangelo, pubblicato originariamente in forma anonima nel 1913.


Alcune delle più note teorizzazioni freudiane, alcuni dei passi più celebri dei volumi del grande psicoanalista austriaco, sono direttamente legati a Roma. Dalla interpretazione dei sogni, e Roma stessa sarà archetipo quintessenziale di un sogno esistenziale, alla crisi della civiltà, osservata silente in beata contemplazione nei templi romani e davanti i ruderi muschiosi. Roma eserciterà un potere liberatorio su Freud. Divellendo certe incrostazioni e potenziando il nitore espressivo nelle sue opere. Anche la vita mondana, il girovagare per le vie cittadine, il visitare teatri e musei, avranno il valore di una medicina capace di liberare Freud da ciò che lui stesso aveva definito anni prima il suo gusto per il martirio.

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